Ci pare bello riportare integralmente il libretto realizzato qualche anno fa da Massimo Masini che racconta la presenza attiva di Azione Cattolica alla Pieve.
Non si parla strettamente soltanto di Azione Cattolica, ma anche della vita della Parrocchia stessa negli ultimi cento anni: una panoramica interessante che dunque va ad intersecarsi con altri ambiti quali la “Storia della Parrocchia”, il “Circolo parrocchiale”, il “Coro”.
Le sezioni rispettano i 9 capitoli del libretto.
1 – Introduzione
L’Azione Cattolica a San Pietro a Ripoli
“L’Azione Cattolica nel corso della sua vita ultracentenaria è sempre stata al centro di un continuo interesse della chiesa e della Santa Sede in particolare, come già ebbe a notare il mio amato predecessore Paolo VI per l’impegno ecclesiale proprio della Vostra associazione e per il senso e il valore della vostra collaudata esperienza.
Giovanni Paolo II
La collaborazione all’apostolato della gerarchia che caratterizza l’ Azione Cattolica richiama alla mente quei discepoli, uomini e donne, che prontamente aderirono all’invito di cooperare con gli Apostoli nella diffusione del Vangelo e li affiancarono con dedizione estrema.
Oggi più di ieri sono necessarie figure laicali cristiane autentiche, che, nell’assolvere responsabilità connesse al proprio stato, s’impegnano in forma vocazionale alla diffusione del Vangelo, per farlo risuonare nei vari ambienti, per riproporre esplicitamente le superiori ragioni, per rivendicarne l’irriducibile determinatezza a pro dell’uomo e permeare del vangelo le diverse espressioni culturali, le manifestazioni di costume, la mentalità coerente”.
2 – Storia Azione Cattolica
Storia
L’Ottocento
Le origini dell’Azione Cattolica risalgono al 1867, quando due giovani universitari, Mario Fani, viterbese, e Giovanni Acquaderni, da Castel San Pietro dell’Emilia, fondano la Società della Gioventù Cattolica. Il motto “Preghiera, Azione, Sacrificio” sintetizza la fedeltà a quattro principi fondamentali:
- l’obbedienza al Papa (sentire cum Ecclesia),
- un forte progetto educativo
- vivere la vita secondo i principi del Cristianesimo
- un diffuso impegno alla carità verso i più deboli e i più poveri.
La costituzione dell’associazione viene approvata il 2 maggio 1868 da papa Pio IX con il Breve apostolico Dum filii Belial. La nuova società esclude l’impegno politico diretto, in sintonia con le posizioni del Papa che proprio nello stesso anno aveva reso pubblico il non expedit che vietava ai cattolici di partecipare attivamente alla vita politica.
Nel 1874 si tiene a Venezia il primo congresso dei cattolici italiani. La creatura di Fani e Acquaderni viene ribattezzata Società della Gioventù Cattolica Italiana.
L’associazione cresce rapidamente e nel giro di pochi anni si diffonde nelle parrocchie di tutta Italia, dal nord al sud. In principio conserva una divisione in sessione maschile e femminile, che negli anni fu superata.
La costituzione dell’Azione Cattolica
Nel 1905 papa Pio X pubblica l’enciclica Il fermo proposito con la quale promuove la nascita di una nuova organizzazione laicale cattolica, che prende il nome definitivo di Azione Cattolica.
Nei primi anni di vita dell’Azione Cattolica si verificarono alcuni eventi molto significativi per il cattolicesimo:
In quel periodo si era diffuso nella chiesa un movimento, detto “modernista” che però il Papa Pio X aveva rigettato, etichettandolo, insieme al relativismo, come la sintesi di tutte le eresie (8 settembre 1907) e che pertanto doveva essere combattuto. L’Azione Cattolica fu voluta dal Papa proprio come principale strumento di contrasto al modernismo.
Nel 1908 venne fondata l’«Unione fra le Donne Cattoliche Italiane» ad opera di Maria Cristina Giustiniani Bandini, con la collaborazione di Adelaide Coari, e nel luglio del 1909 Vincenzo Ottorino Gentiloni ricevette da Pio X l’incarico di dirigere un’organizzazione contigua all’Azione Cattolica, l’«Unione Elettorale Cattolica Italiana» (UECI).
L’UECI svolse un’azione di primo piano nel panorama politico italiano di allora. Nel 1912, nonostante non fosse ancora stato revocato il non expedit decretato da Pio IX, Ottorino Gentiloni, nella sua funzione di massimo responsabile della UECI, concluse con Giovanni Giolitti il cosiddetto «Patto Gentiloni» che riammetteva, si pure parzialmente i cattolici nella vita politica.
Nel 1918, per iniziativa di Armida Barelli e con il sostegno di papa Benedetto XV prima e di Pio XI poi, nacque all’interno dell’Unione Donne la «Gioventù Femminile di Azione Cattolica».
Il primo dopoguerra
La nascita del Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo nel primo dopoguerra impone una riorganizzazione del laicato cattolico con una migliore definizione anche dei compiti dell’Azione Cattolica. Nel 1922 le opere degli adulti vengono raggruppate nell’Unione Uomini Cattolici, organizzata da Augusto Ciriaci e monsignor Domenico Tardini su volontà di papa Pio XI, il quale nel 1923 promuove nuovi statuti per l’Azione Cattolica, che viene organizzata in quattro sezioni:
- Federazione Italiana Uomini Cattolici;
- Unione Femminile Cattolica Italiana;
- Federazione Universitaria Cattolica Italiana
- Società Gioventù Cattolica Italiana.
Però l’attività formativa esercitata nei circoli dell’Azione Cattolica e la vicinanza di molti suoi iscritti al Partito Popolare diventano motivo di scontro con il governo fascista. Già tra il 1921 ed il 1924 alcune sedi dell’AC furono “sfigurate” da parte dei militanti fascisti, pervasi da un’ispirazione anticlericale. L’AC, infatti, era vista come il braccio laicale della Chiesa. Mussolini, ormai consolidato il suo potere, il 9 aprile del 1928 aveva decretato lo scioglimento di tutte le associazioni che non fossero state fasciste. Da qui nacque lo scontro con il Vaticano, che non accettò lo scioglimento anche dei circoli di Azione Cattolica. Mussolini fu costretto, per non compromettere le trattative con la Chiesa che porteranno ai Patti lateranensi, a far marcia indietro e ad escludere dal divieto l’Azione Cattolica, “pupilla degli occhi” del Papa.
L’articolo 43 dei Concordato infatti riconobbe ufficialmente l’Azione Cattolica a patto che essa svolgesse la propria attività fuori di ogni partito, alla dipendenza della Chiesa e per diffondere i principi cattolici. Era un articolo che entrambe le parti avevano accettato con molte riserve e molti sospetti, ciascuno pensando al dopo: il fascismo alla sua Opera Nazionale Balilla e all’allevamento delle nuove leve, come succede in tutte le dittature; la Chiesa badando al suo impegno pastorale che privilegia l’aspetto spirituale e religioso, ma non può escludere l’impegno e la responsabilità sociale.
Anni trenta
I nodi vennero al pettine all’inizio del 1931. L’AC, con cinquemila sedi sparse in tutta Italia, man mano espandeva i suoi interventi al di fuori dei compiti strettamente religiosi, con iniziative sociali, attività culturali, ricreative, ecc. L’Opera Balilla dal canto suo era ormai diventata un grande apparato del regime e contava più di un milione e mezzo di iscritti divisi in balilla, avanguardisti, piccole italiane e giovani italiane. L’AC riuniva gli universitari nella FUCI, il fascismo nel Gruppo Universitario Fascista (GUF).
Già nel 1930, il 3 agosto, L’Avvenire d’Italia, aveva invitato l’AC «ad invadere tutti i settori della vita sociale». La FUCI rischia di far ombra ai GUF. La commemorazione del quarantesimo anniversario della Rerum novarum suona critica alle corporazioni fasciste e un informatore della polizia la definisce «una manifestazione di mai represso antifascismo».
L’8 aprile Mussolini chiede alla Santa Sede che la stampa cattolica venga moderata, che l’AC la faccia finita colle provocazioni sindacali, che i caporioni popolari siano licenziati.
Il 21 aprile l’onorevole Mario Giuriati, in un discorso a Milano, rivendica l’assolutismo dello Stato; replica immediatamente il papa, con una lettera all’arcivescovo di Milano cardinale Ildefonso Schuster, in cui si afferma tra l’altro che la Chiesa ha il diritto di entrare nella moralità sociale, che il fascismo erra educando i giovani alla violenza e all’aggressività.
Il Lavoro fascista accusa l’AC di formare uomini «domestici e infermicci», di invadere il campo delle corporazioni. Ormai la corda è tesa. Si spezza in maggio e sarà la più dura repressione fascista mai attuata nei confronti dell’Azione Cattolica. Vengono inscenate violente manifestazioni anticlericali, i giornali intransigenti del regime vomitano ingiurie, sono devastate e saccheggiate le sedi dei circoli cattolici.
Per tutto il mese le violenze continuarono e arrivarono a preoccupare persino Mussolini che dovette raccomandare ai prefetti un’attenta vigilanza perché non accadessero incidenti che offendessero il sentimento religioso popolare. Ci fu da parte vaticana un’accesa protesta e per tutta risposta Mussolini fece prudenzialmente chiudere le sedi di tutti i circoli della gioventù cattolica e tutte le federazioni universitarie. Il decreto di scioglimento è del 29 maggio 1931. Gli ultimi tre giorni del mese di maggio registrarono il sequestro di tutti i circoli cattolici ad opera della polizia. In questo clima di accesa tensione (si imputò all’Azione Cattolica di tenere anche adunanze cospiratrici), ai primi di luglio uscì l’enciclica Non Abbiamo Bisogno che resta il documento fondamentale per definire la posizione e il giudizio del papa nei confronti di quel regime. Pio XI con questo testo condanna esplicitamente il fascismo come dottrina totalitaria, definendolo «una vera e propria statolatria pagana, non meno in contrasto con i diritti naturali della famiglia che con i diritti soprannaturali della Chiesa… un programma che misconosce, combatte e perseguita l’Azione Cattolica, che è dire quanto la Chiesa e il suo Capo hanno notoriamente di più caro e prezioso». L’enciclica, inoltre, dichiarò illecito il giuramento di fedeltà al duce.
Tuttavia alla fine si riuscì ad arrivare all’ accordo del 2 settembre che stabilì:
- l’AC è diocesana, dipende dai vescovi che scelgono i dirigenti;
- non ha gruppi professionali e sindacali perché si propone solo obbiettivi religiosi e forma i giovani alla spiritualità;
- i circoli giovanili si chiameranno “Associazioni di AC” e si asterranno da attività atletiche e sportive.
Ma l’AC, pur costretta ad una vita grama e repressa, sopravvisse, si rinforzò e poté preparare i quadri della futura Democrazia Cristiana.
Nel 1935 nacque, come editrice della AC, l’AVE Anonima Veritas Editrice con l’obiettivo di fornire sussidi per la formazione religioso-morale di adulti, giovani e ragazzi.
Il secondo dopoguerra
L’Azione Cattolica conobbe un momento di grande espansione nel secondo dopoguerra grazie all’impegno di Papa Pio XII. Le prime scadenze elettorali successive alla proclamazione della Repubblica Italiana, poi, aumentarono l’impegno dell’associazione.
In occasione delle elezioni del 1948 vennero fondati, su mandato di Papa Pio XII, i “Comitati Civici”. Organizzati da Luigi Gedda allo scopo di mobilitare le forze cattoliche per il delicato impegno elettorale, i Comitati risultarono decisivi per evitare la vittoria elettorale della sinistra. L’AC contava allora due milioni e mezzo di iscritti.
Lo spirito di rinnovamento seguito al Concilio Vaticano II del 1962 portò nel 1964 alla nomina di Vittorio Bachelet a Presidente della Giunta Centrale di AC. In questo contesto l’Azione Cattolica compì la “scelta religiosa” e decise di non essere più collaterale a nessun partito politico. Pur rimanendo immersa nel sociale, torna a riscoprire le proprie origini religiose nell’impegno all’annuncio del Vangelo e all’educazione alla fede. Sulla base di queste nuove prospettive, nel 1969 viene emanato un nuovo Statuto secondo il quale l’Associazione viene organizzata in due Settori, uno per i giovani e uno per gli adulti, al posto dei precedenti quattro Rami (Gioventù Maschile, Gioventù Femminile, Unione Donne, Unione Uomini), mentre le Sezioni minori sono sostituite con l’unica struttura dell’Azione Cattolica dei Ragazzi (ACR) che compare per la prima volta nel 1971.
Negli anni post-conciliari l’AC si fa pienamente portavoce del cosiddetto “spirito” del Concilio Vaticano II; pur mantenendo una struttura legata alle parrocchie, comincia però a perdere consensi in diversi strati sociali. Risultato: tra il 1964 e il 1974 l’associazione passa da 3,5 milioni di iscritti a 600 mila.
Ma il calo ha anche altri motivi:
- L’AC degli anni settanta (e ottanta) non era più l’unica Associazione dei laici cattolici. Dopo il Concilio erano nate nuove realtà, alcune delle quali fondate anche da ex appartenenti all’associazione. Il Movimento dei Focolari, la Comunità di Sant’Egidio, Comunione e Liberazione (che fu parte dell’AC fino alla fine degli anni sessanta), il Rinnovamento nello Spirito cominciano proprio dagli anni sessanta la loro diffusione e crescita. Nel complesso il numero di laici cattolici impegnati non è andato diminuendo, ma si è distribuito in realtà diverse. L’AC è un’associazione vicina ai vescovi ed ai sacerdoti, dedita principalmente all’impegno parrocchiale ed alla “formazione cristiana delle coscienze”.
- La fuga di molti giovani nei movimenti giovanili originati dal Sessantotto.
- Infine, il distacco dall’Azione Cattolica della Fuci e del Centro Sportivo Italiano (CSI), oltre che la totale separazione con le ACLI e la CISL.
Nel 1976 Vittorio Bachelet viene eletto vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Gli anni settanta si concludono tragicamente con l’assassinio di Aldo Moro (presidente della FUCI dal 1939 al 1942) e di Bachelet da parte delle Brigate Rosse.
Dal 1998 ad oggi
Nel 1998 viene eletta la prima donna alla guida dell’Azione Cattolica: Paola Bignardi. Appoggiata dalla Conferenza Episcopale Italiana, ha guidato l’associazione in un forte processo di rinnovamento, conclusosi con l’aggiornamento dello Statuto avvenuto nel settembre del 2003. Durante la presidenza Bignardi gli iscritti all’associazione si stabilizzarono in 350.000.
L’azione di rinnovamento guidata dalla Bignardi e culminata nell’approvazione del nuovo Progetto formativo dell’Associazione ha dato nuova vitalità e visibilità pubblica ed ecclesiale all’associazione, che ha portato nel 2006, sotto la presidenza di Luigi Alici, ad un aumento delle adesioni, il primo dopo molti anni segnati da una generalizzata difficoltà dell’associazionismo.
Settori dell’Azione Cattolica
- Settore Ragazzi: l’Azione Cattolica dei Ragazzi (abbrev. ACR) è un’articolazione dell’Azione Cattolica che traduce l’attenzione dell’Associazione verso i ragazzi dai 6 ai 14 anni, aiutandoli ad essere protagonisti del loro cammino di fede.
- Settore Giovani: si occupa dei soci dell’associazione fino ai 30 anni. È suddivisa a sua volta in due articolazioni:
- dai 15 ai 18 anni Giovanissimi;
- tra i 19 e i 30 anni Giovani.
- Settore Adulti: riunisce i soci sopra i 30 anni.
Movimenti legati all’Azione Cattolica
- Movimento Studenti di Azione Cattolica (MSAC): riunisce i giovani soci impegnati nella scuola secondaria superiore.
- Movimento Lavoratori di Azione Cattolica (MLAC): riunisce i soci impegnati nella pastorale del mondo del lavoro.
Elenco dei presidenti nazionali
Giunta Centrale dal 1922
- (1922-1929) Luigi Colombo
- (1929-1936) Augusto Ciriaci
- (1936-1940) Lamberto Vignoli
- (1940-1946) Commissione per l’alta direzione dell’AC
- (1946-1952) Vittorino Veronese
- (1952-1959) Luigi Gedda
- (1959-1964) Agostino Maltarello
- (1964-1969) Vittorio Bachelet
Presidenza Nazionale (dal nuovo statuto del 1969)
- (1970-1973) Vittorio Bachelet
- (1973-1981) Mario Agnes
- (1981-1986) Alberto Monticone
- (1986-1992) Raffaele Cananzi
- (1992-1998) Giuseppe Gervasio
- (1998-2005) Paola Bignardi
- (2005-2008) Luigi Alici
- (2008-in carica) Franco Miano
L’ Azione Cattolica alla Pieve
Elenco dei presidenti
UOMINI | DONNE |
Giovanni Bondi Serafino Cappelli | Emma Marrini Delfina Prosperi Giulietta Brunelleschi Masi Gina Lucietta Cini |
UNITARI | |
Lucietta Cini Bandini Laurino Liliana Menicalli Manuela Montefusco Davide Lastraioli |
3 – I parroci
Prima di addentrarsi nell’attività del circolo è doveroso tracciare un quadro delle figure dei sacerdoti che, in qualità di pievani, hanno anche rivestito il ruolo di assistenti dell’associazione dalle origini fino al predecessore dell’attuale pievano Don Filippo Lupi: si tratta di Don Giovanni Arpioni, Don Leone Crocetti, Don Ulderico Masti, Don Antonio Tinti e Don Quirino Paoletti.
Don Arponi
I ritratti dei parroci che guidarono la nostra Parrocchia nel periodo considerato in questo libretto ci sono forniti dalla bella testimonianza, in buona parte dovuta a conoscenza diretta, di Renzo Pacenti nelle pagine del nostro vecchio giornalino parrocchiale “Per non fermarsi” nel n° 30 dell’Aprile 1978: “… Il 21 Giugno 1913 veniva investito Pievano Don Giovanni Arpioni, nato a Empoli il 24 Giugno 1865, già parroco di S. Maria a Sammontana del piviere di Montelupo. Il suo primo impegno fu la costruzione, a sue spese, delle vetrate del chiostro. Fu di vita veramente esemplare, di carattere timido, quasi vergognoso, ma nello stesso tempo energico e risoluto. Fu detto anche, a buona ragione, il padre dei poveri. Alla sua morte gli furono trovate solo poche centinaia di lire e tanti pacchetti contenenti cibarie, che egli, all’insaputa di tutti, distribuiva nascostamente alle famiglie bisognose, in un’epoca nella quale bisogno e miseria si scrivevano a lettere maiuscole.
Si spense serenamente la sera del 19 Marzo 1931 mentre si preparava a celebrare i Vespri, lasciando un vero cordoglio in tutto il popolo che molto lo amava.”
Don Crocetti e Don Masti
Il successore di Don Arpioni fu Don Leone Crocetti, nato a Firenzuola il 1 Gennaio 1888. Veniva alla Pieve dopo essere stato insegnante di matematica nel Seminario di Firenzuola e parroco di S. Pellegrino di Firenzuola. Quando arrivò alla Pieve trovò un circolo nel pieno della sua attività: a partire dal 1929 si hanno regolari verbali delle riunioni del consiglio direttivo e della assemblea dei soci, per cui possiamo farci un’idea precisa di tutto quello che avveniva.
Anche le brevi note che seguono sono dovute all’opera preziosa di Renzo Pacenti: “…II primo Aprile 1931 giungeva alla Pieve (era la settimana santa) Don Leone Crocetti, … era di carattere eccezionale: energico e risoluto e con tanta bontà d’animo; dalla sua faccia sprizzava una gioia e una felicità che si trasmetteva a quanti lo avvicinavano. Nell’Agosto 1931, senza chiedere niente a nessuno, ma fidando solo nella Divina Provvidenza, iniziava la titanica opera del completo restauro delle Chiesa.
I lavori terminarono con la consacrazione dell’Altare Maggiore che fu fatta da Mons. Gioacchino Bonardi l’ 11 Aprile 1933.
La spesa complessiva, compresi gli arredi e i parati si aggirò sulle centomila lire…Alla partenza di Mons. Crocetti veniva nominato Vicario Don Ulderigo Masti, parroco di S. Stefano a Paterno, che si trovava così a reggere due Parrocchie contemporaneamente fino al 7 Luglio 1937, data della sua nomina a Pievano…
Già cappellano militare della guerra 1915-18, fu sacerdote pio e caritatevole ed infaticabile; a lui si deve 1′ esumazione del vecchio cimitero che avrebbe dovuto servire quale piazzale per la ricreazione dei ragazzi della Parrocchia (è 1′ attuale arena annessa al Circolo MCL) e la costruzione dell’ Asilo Parrocchiale che veniva inaugurato dal Cardinale Elia Dalla Costa il 15 Ottobre 1939…”
Un altro fatto importante avvenne proprio all’inizio della missione di Don Masti fra di noi, e rivela l’impulso che egli dovette dare all’associazione: la nascita, o meglio, la rinascita nel 1935 del gruppo donne di AC, che ebbe come prima presidente Emma Marrini. Sempre in questi anni ci fu il completamento dell’organico associativo, e da allora e per parecchi anni saranno presenti alla Pieve tutti i gruppi di AC.
Ancora Renzo Pacenti ci informa che “…il 19 Agosto 1943, dopo aver lavorato intensamente per una maggiore elevazione spirituale del suo popolo, Don Masti veniva trasferito alla Chiesa parrocchiale di S. Giuseppe di Firenze e riceveva il titolo di Monsignore. Rendeva la sua bella anima a Dio il 7 Giugno 1974.
Don Tinti
Don Ulderigo Masti lasciò a sua volta il posto a Don Antonio Tinti, nato a Castelfiorentino il 22 Marzo 1908.
Proveniente dalla Chiesa di Santa Maria a Peretola, giungeva alla Pieve la stessa sera del 19 Agosto
Era un momentaccio quel 19 Agosto: per chi quei tempi li abbia vissuti di prima persona o anche per chi si sia degnato qualche volta di aprire un libro di storia, questa data vuol dire assai di più che un foglietto del calendario: meno di un mese prima c’era stata la storica seduta del Gran Consiglio del Partito Fascista con la caduta di Mussolini, il successivo arresto dell’ormai ex duce da parte del Re e la nomina a primo ministro del Maresciallo Badoglio.
Ma chi pensava che i guai per l’Italia, da 3 anni impegnata in una guerra che aveva riservato solo rovesci militari e lutti, fossero finiti ebbe presto una drammatica doccia fredda: “La guerra continua” aveva proclamato Badoglio poco dopo. Nel giorno dell’arrivo di Don Tinti quindi si era in questa situazione di dover combattere con alleati che assumevano sempre più l’aspetto di nemici e contro avversari che assumevano sempre più l’aspetto di liberatori. Infatti di lì a poco questa situazione paradossale subirà una svolta con l’ 8 Settembre, l’ armistizio ed il rovesciamento del fronte. Tutto questo come preludio del peggio che doveva ancora venire con lo sbandamento e la guerra alle porte di casa.
Don Tinti ci ha lasciato un diario della “sua” guerra che è anche la guerra così come è stata vissuta da tanti parrocchiani della Pieve e che qui vale la pena di riportare per intero, prima col suo smarrimento di nuovo arrivato in una situazione difficile, poi col suo prendere il coraggio a quattro mani ed affrontare tutte le situazioni peggiori che presentavano. Notiamo come l’ Azione Cattolica fosse presente in tutti questi momenti col suo doveroso sostegno al nuovo parroco:
19 Agosto 1943
Sbigottito per la fama di Santità del Predecessore, salgo sulla sera alla Pieve di Ripoli con le intenzioni più rette. Intorno alla Chiesa il deserto. Solo qualche pia donna sta con alcune bambine a recitare il S. Rosario e do per la prima volta la Benedizione Eucaristica.
Il cappellano del predecessore per S. Giuseppe (la sua nuova Parrocchia) sta ad aspettarmi per le grandi consegne: la chiave del Tabernacolo, della porta di Chiesa e… basta. Sono disperato; non so a chi rivolgermi (anche le suore mancano tutte perché in esercizi spirituali).
La mattina chiamo una devotissima (la Lippi ved. Masi Gina) per conoscere il posto della biancheria di Chiesa. Le chiedo cooperazione al mio nuovo lavoro e questa… dà in profondi, sentiti singhiozzi. Segno di gran dolore per il recente distacco.
Nella quasi indifferenza e critica, qualche volta prevenuto da qualche allusione del Predecessore (santo), passai i primi mesi fino al giorno dell’investitura.
Sua Em. il Card. Arcivescovo Elia Dalla Costa mi trasferisce per ragioni di Apostolato, senza esami, da Peretola, dove ero Parroco fino alla festa di Cristo Re 1938.
La bolla di nomina è datata 1° Ottobre 1943.
Da notare:
I – Don Masti (santo) perché trasferito dall’obbedienza a S. Giuseppe non intende lasciare gli introiti del beneficio fino al 1° Gennaio 1944.
II – Il nuovo Parroco di Peretola deve pur mangiare e trasferiscono a lui l’unico beneficio del parroco di Peretola: la congrua. Così (io rimango) senza nessun aiuto per questi vari mesi. O meglio: mi si passò qualcosa dei redditi della vacanza di S. Giuseppe.
Presenziò personalmente alla cerimonia di investitura Mons. Mario Tirapani Vic. Gen.,fungevano da testimoni il colonnello dei RR. Carabinieri Contreras e il March. Clemente Cusani – (?) – Botta – Adorno, proprietario della Villa “Le Sentinelle” perciò parrocchiano. L’ Azione Cattolica, volutamente non preavvisata, fece del suo meglio per circondare di festa il nuovo parroco.
8 Settembre 1943
L’ Apostolato in questi momenti passa in secondo e terzo ordine. Grandi avvenimenti per la Patria. Il Maresciallo Badoglio, Capo del Governo, succeduto a Mussolini, dopo la di lui caduta del 25 Luglio 1943; sebbene in un primo radioproclama al popolo d’ Italia avesse solennemente dichiarato “la guerra continua”, oggi in serata in altro radioproclama dichiara che è stato firmato l’armistizio con le Nazioni unite (Inghilterra e America).
Effetto immediato: disfacimento dell’esercito, invasione dei tedeschi, entrati da conquistatori, senza colpo sparare, in tutte le città d’Italia, liberazione, da parte dei Tedeschi, di Mussolini prigioniero nel Gran Sasso d’Italia, e formazione del Partito Repubblicano (e relativa Repubblica) italiano fascista. Il Re, Badoglio e compagnia son fuggiti nell’ Italia meridionale, occupata dagli Anglo- americani.
Incomincia già la formazione dei partigiani e la lotta clandestina di tutti i partiti uniti contro il Tedesco invasore.
Da ora: persecuzioni, paure, pericoli e lotte clandestine.
Subito incomincia il movimento in canonica. Il March. Cusani nasconde in canonica il Colonnello Mangani, comandante della Piazza di Cavalleria a Ferrara, senza però rimettersi a servizio dei Repubblichini (così li chiamò l’On. Calosso).
E’ di questi mesi la continua ritirata e relativo avanzamento verso il Nord dei Tedeschi e degli alleati. Incominciano a passare branchi di bestie rubate dai Tedeschi ai contadini. Ecco il rastrellamento dei nostri uomini e giovanotti: è un fuggi fuggi per i campi pietoso. Senza la minima percezione del pericolo io scorrazzo per la parrocchia e per Firenze, tornando anche a tarda ora. Nessuno ha mai osato toccarmi, sebbene tra le colonne dei rastrellati si vedevano più d’una volta dei Sacerdoti.
Arriva la notizia che Don Brogi Egidio, un carissimo paesano e successore alla Pieve di Acone, è stato arrestato dalle SS della Banda Carità e imprigionato alle murate. Porto laggiù, mettendomi a coda con i parenti dei carcerati di ogni risma, le mie tessere ed altri aiuti commestibili. Dopo pochi giorni Don Brogi è liberato e viene a Pieve a Ripoli, raccontando le tragedie di quei giorni.
I Tedeschi abusano schifosamente del loro dominio, però qui in Pieve non c’è da lamentare nessun sopruso. Soltanto alcuni giovani soldati (tedeschi?) scacciati da tutti, trovano pietosa ospitalità in canonica e ricambiano generosamente lasciando nei letti i loro pidocchi e portandosi via quel che capitava tra mano: dal pettine alla bottiglia di punch al mandarino.
Si prega intanto e la chiesa si riempie e la S. Messa si affoltisce di parrocchiani e provvisori immigrati da Firenze e altrove. Non si temono né cannoni né aeroplani. Passano così alcuni mesi di paura e di desiderio di liberazione.
Il Pievano, Sac. Antonio Tinti, all’avvicinarsi del fronte (Giugno 1944) lancia al popolo un’idea. Faremo ferventi preghiere al Santo conterraneo B. Gherardo da Villamagna, mettendosi sotto la sua protezione e promettendo un pellegrinaggio alla sua tomba.
Già scoppiano, lanciate da non molto lontano, i primi obici anglo-americani.
Dall’orto in cui solitari, (tutti si rimpiattano) passiamo le nostre serate d’Estate, vediamo avvicinarsi le esplosioni e si decide di portare i letti a terreno per maggiore sicurezza.
Da ricordare che in canonica si conservano per la prossima necessità i medicinali inviati da C.L.N. (Comitato Liberazione Nazionale). Le cartelle di prestito di Liberazione, da quando il brigadiere dei Carabinieri Giuseppe Nonderberger avea dato l’allarme avean preso domicilio sotto i guancialetti dei reliquiari più grossi.
“Il Popolo” opuscolo clandestino della Democrazia Cristiana, era sparito in altre mani. Bisognava pur salvarsi da una probabile fucilazione.
Il Maresciallo dei Carabinieri del Bagno, Cardi, per aver dissuasi, dissimulando però, i ragazzi a presentarsi, fu in pericolo prossimo di essere fucilato.
Un giorno si sa che i Tedeschi stanno (…nando) alcune case della Nave e del Bagno (lato Baroncelli di cui ero vicario spirituale dalla mia nomina a Parroco della Pieve), faccio i miei accertamenti e poi, visto inutile ogni mezzo per allontanare il pericolo, mentre gli uomini sono nascosti tra il granturco o nei pozzi neri seccati, do spazio alle povere donne che, piangendo si trascinano il poco di mobilia trasportabile.
Una notte scoppi tremendi, grandi (?) e alle 5 del mattino si prende la nostra materassa e si va a dormire un po’ in campanile dove già riposa la famiglia di un contadino. Prestissimo ci alziamo e subito si ha notizia che i Tedeschi in fuga hanno già passato l’ Arno e sono arrivati già i primi Inglesi. Corro alla Nave: uno sfacelo di case all’imbocco della barca che attraversava e dove era stato costruito un ponte di guerra provvisorio (il ponte era sparito), salgo al Bagno e vedo altrettanto.
Al Bagno mi vengono incontro alcuni partigiani in camicia rossa che mi portano a salutare i primi Inglesi scesi al Bagno con una autoblinda. Mi portano a vedere le rovine procurate dai fuggiaschi.
A un tratto, vicino a noi uno scoppio: tanto vicino che mi circonda il mulinello dell’aria, e una giovane (Gandi Maruzza) si accascia ferita alla coscia destra; poco distante il Pancini giace riverso con una spalla spappolata: sta per morire.
Urla di soccorso, altre cannonate, un fuggi fuggi e da allora incomincia la tragedia delle cannonate sparate prima dall’ Incontro, poi da Fiesole e Settignano.
Le suore sono fuggite nella loro casa a Badia ed io preparo subito il pronto Soccorso e vi si insedia la prima sede della Democrazia Cristiana. Il Comune si installa nella Villa Pestellini e si nomina il Prof. Palazzo a Sindaco provvisorio del Comune.
In questi giorni visioni di feriti gravi e morti di obice (….Antonino e Giannelli Gino alla Nave; altri tra cui…che avea progettato per quei giorni grandi rappresaglie contro i religiosi praticanti e i preti, spariscono. Il primo partigiano: un ragazzotto sudicio e leggermente ferito vien condotto in canonica. La signorina Maria sorella della Margherita Pestellini è l’infermiera ufficiale; amorosissima.
La Domenica celebro due Messe in Pieve, senza suono di campane, e una a Baroncelli (andandovi accompagnato dai giovani) dove erano ospitate varie persone del Bagno a Ripoli. I cannoni americani tuonano accanto a noi, facendo tremare terra e cielo. La Messa della Nave si celebra nella tinaia dei Pinzauti (tra i tini) in Via S. Lorenzino a Ripaltuzza.
Dopo circa un mese (al 12 di Agosto) i Tedeschi fuggono ancora e si allontana il pericolo delle cannonate. Era stato proprio questo pericolo che avea indotto il Governatore americano a trasportare a Grassina la sede comunale. Ora tutto si riassesta. Manca ancora per vari mesi l’energia elettrica. Si rimedia con candele (che vanno a ruba) e scatolette ripiene della rossa benzina americana.
Ottobre 1944
Il promesso pellegrinaggio non si può fare. Il Pievano di Villamagna manda a dire che la Cappella di S. Gherardo è in rovina. Si organizzano allora feste di ringraziamento in Pieve. Ci vien concessa la Reliquia del Braccio del B. Gherardo; P. Tommasini dei Francescani di Ognissanti viene a predicare per una settimana e si chiude la Domenica di Cristo Re con la presenza di Sua Emin. Il Cardinale. (Il Padre predicatore è bravo ma sboccato assai). A chiusura il coro parrocchiale canta la Messa I Pontificalis di Perosi. Va benissimo.
8 Dicembre 1944
Preparata da un corso di 3 giorni per tutti l’A.C. sul motto “Preghiera – Azione – Sacrificio” commentato dal Pievano, si ha per l’ Immacolata il tesseramento dell’A.C. Una nota mesta: si tesserano anche i deportati dai Tedeschi in campi di concentramento della Germania.
Incominciano a sparire gli immigrati. Si dà inizio, auspici gli Americani, a una frenetica gara di feste da ballo. Le signorine si perdono con gli Alleati. La Chiesa va gradualmente disertandosi. “Avuta la Grazia, gabbato lo Santo”.
Quest’anno per mancanza di energia elettrica e per la prossima scorsa festa non si celebrano le Quarantore. Gran lamento dei contadini.
24 Dicembre 1944 (Mezzanotte)
Al lume di ceri e lampade a olio e petrolio alle 24 si riprende la celebrazione della Messa della Natività del Signore, sospesa fino ad oggi dalla guerra. Gran concorso di popolo e grande pietà.
Pasqua 1945
Nelle Domeniche di Quaresima 1945, mentre predico il Quaresimale a Quarto, ho la nostalgia dei bei tempi passati in Pieve e mi propongo di riattivare il Quaresimale festivo.
Passata la burrasca dunque Don Tinti incominciò a lavorare materialmente oltre che spiritualmente per i parrocchiani. Il 29 Giugno 1945 (SS. Pietro e Paolo) fu inaugurata l’arena e nell’Ottobre 1949 i nuovi locali parrocchiali, opere realizzate con tanti sacrifici dai parrocchiani.
Il boom economico degli anni sessanta con la trasformazione dell’Italia da paese sostanzialmente agricolo a potenza industriale, ebbe fra le altre conseguenze l’abbandono delle campagne e l’espansione delle città. Fra i Sindaci di Firenze in quegli anni c’era anche un sant’uomo, universalmente conosciuto, che rispondeva al nome di Giorgio La Pira. Fra le iniziative che egli promosse per accogliere degnamente quelli che, arrivando da fuori, chiedevano di diventare cittadini di Firenze ci fu anche quella della creazione delle cosiddette “città satellite”. La prima fu fatta all’Isolotto, mentre per la seconda fu scelta una zona a Sud-Est della città non ancora edificata nei pressi dell’antico borgo di Sorgane.
La nuova città satellite doveva essere realizzata secondo i più moderni principi urbanistici ed architettonici, e per questo furono chiamati alla progettazione alcuni fra i più noti professionisti dell’epoca, allievi della scuola di Pierluigi Nervi.
Fra le solite polemiche e dopo aver pagato il dazio alle varie parti politiche in termini di tagli, modifiche e ritocchi che naturalmente snaturarono del tutto l’idea iniziale, si diede finalmente il via alle ruspe a metà degli anni ’60.
Anche in Diocesi si prese atto che nella la parrocchia della Pieve la popolazione si sarebbe in breve tempo incrementata di qualche migliaio di persone di provenienze ed abitudine diverse.
Si sapeva che la nascita di interi quartieri nuovi in genere crea, almeno in un periodo iniziale, problemi di ambientamento con conseguenze anche per l’ordine pubblico, il che poi si è puntualmente verificato anche a Sorgane.
Si decise perciò di rivedere la suddivisione delle parrocchie della zona: alla Pieve fu tolta la vasta zona della Nave a Rovezzano con la costituzione delle nuova parrocchia delle Resurrezione, e fu tolta anche una gran parte del paese di Bagno a Ripoli che fu assegnato alla parrocchia di S. Maria a Quarto. Rimaneva quindi il nuovo quartiere, che diventava preponderante, e non molto di più.
Don Tinti non se la sentì di affrontare la nuova situazione, e così il 5 Settembre 1973, dopo 30 anni trascorsi alla Pieve veniva nominato parroco di San Giorgio alla Costa, mentre il suo cappellano, Don Adelmo Zanerini, veniva investito Pievano di san Lorenzo a Pietramala.
Don Paoletti
Don Quirino Paoletti era nato a Brozzi il 6 Maggio 1919. Giunse alla Pieve raccogliendo l’eredità di un pievano che era stato tanto amato per le sue qualità umane e spirituali ma che nei suoi ultimi anni, forse per la naturale stanchezza di una lunga permanenza, aveva un po’ mollato la presa sulle attività parrocchiali. Il nuovo pievano invece, poco più che cinquantenne, di costituzione forte e robusta, era nel pieno delle sue energie, e non le lesinò per ridare vitalità all’ambiente parrocchiale, affrontando senza timori le difficoltà che cominciava a porre il nuovo quartiere di Sorgane. Di carattere burbero e deciso, ma prete fino in fondo, come i suoi predecessori del resto, il suo arrivo ebbe l’effetto di un bulldozer: le sue parole d’ordine erano: dovere, impegno e coerenza che applicava a sé e che pretendeva giustamente anche per gli altri; aveva una particolare capacità nel chiedere ed era difficile dirgli di no. Per questo otteneva quello che voleva che però era sempre qualcosa per il bene della Parrocchia.
Nei suoi primi anni nacque un gruppo giovanile che a sua volta diede nuovo impulso a tante attività parrocchiali, al Circolo ricreativo, al catechismo ed infine anche all’Azione Cattolica dove si ebbero nuove adesioni e soprattutto la ricostituzione del settore giovani che col tempo si era perduto.
Poi gli anni passano per tutti, la stanchezza subentra ed anche per Don Quirino arrivano i problemi di salute. Ma la sua volontà ferrea non conosce lo stesso limiti, lo dimostra il modo con cui seppe riprendersi dopo l’ictus che lo aveva colpito durante una celebrazione religiosa: qualche mese fra degenza e riabilitazione, ed eccolo tornare al suo servizio, fra l’incredulità di chi aveva pensato che non ce l’avrebbe fatta, indebolito nelle forze fisiche ma fedele fino in fondo al suo servizio per il dovere, per l’impegno che aveva preso e per la coerenza di vita che lo aveva sempre contraddistinto.
Tuttavia contro l’inevitabile avanzare degli anni la volontà non basta: portare il peso di una parrocchia piuttosto grande e con non poche problematiche diventa sempre più difficile, fino a che nel Settembre del 2000 viene trasferito ad incarichi meno gravosi e lascia il suo posto all’attuale pievano Don Filippo Lupi.
4 – Gruppo uomini
Il gruppo uomini vide la luce ufficialmente il 30 Marzo 1920, istituito dall’allora Pievano Don Giovanni Arpioni. Non si sa quando avvenne la distinzione fra “Uomini Cattolici” (U.C.) e “Giovani Cattolici” (G.C.), forse nel 1922, ma entrambi si riconoscono, oltre che sotto la bandiera dell’Azione Cattolica Italiana (A.C.I), col nome di “Circolo della Santa Croce”.
Dell’attività dei primi anni non sono rimaste che poche tracce.
Prima di andare avanti però è necessario fare una premessa: potremo constatare che per chi ha presente l’attuale A.C. non sarà facile trovare un legame con questo circolo, sembrando più logico identificarlo come precursore dell’attuale nucleo MCL, ma bisogna tener presente che a quei tempi non esisteva una diversificazione fra le varie associazioni: si era cattolici e basta, e si faceva riferimento alla vecchia sede di Via de’ Pucci, dove si trovavano gli uffici dell’Azione Cattolica. Anche altri settori dell’attività di questo circolo, come il teatro e il coro, non hanno un riscontro attuale con il gruppo di Azione Cattolica, ma da essa sono nati ed hanno poi avuto un loro sviluppo autonomo. E’ come se l’Azione Cattolica fosse una robusta pianta che ha dato origine a tante propaggini dalle quali sono spuntate e si sono sviluppate nuove pianticelle autonome.
Ed è per questa ragione che in questo libretto si seguirà, sia pure sinteticamente, fino ai nostri giorni, la vita anche di questi settori ora autonomi, ma che dall’Azione Cattolica hanno tratto origine.
Ritorniamo dunque senza ulteriori parentesi al circolo Santa Croce: il più vecchio documento rimasto in nostro possesso, che risale al 1922, è lo statuto del gruppo Giovani Cattolici. Leggiamone alcuni passi:
Art. I Nella Parrocchia di S. Pietro a Ripoli è costituito un circolo giovanile cattolico, che prende il nome di S. Croce.
Art. II Esso ha per scopo:
- di rassodare nel bene i giovani e di abituarli alla franca e pubblica professione dei principi cattolici
- educare con periodiche conferenze morali e sociali, intelligenti difensori della Fede e dell’azione esteriore della Chiesa.
- di favorire l’istruzione con lezioni, letture ecc…
- di diffondere la buona stampa e di appoggiare le opere cattoliche promosse in paese
- di offrire ai giovani un onesto ritrovo di svago e di divertimento
- di costruire fra gli iscritti una squadra per coadiuvare la locale Messa.
Art. III Il circolo G.C. fa parte della società della G.C. (Gioventù Cattolica) e aderisce alla Federazione Diocesana, osservando tutte le norme che reggono l’organizzazione giovanile nazionale.
Art. IV Il Circolo è assistito da un assistente ecclesiastico nominato dall’Arcivescovo
Art. VI I soci sono obbligati:
- A tenere condotta morale e religiosa irreprensibile sia in Società come in Pubblico
- A pagare la quota di £. 2 e una tassa sociale mensile di £. 2.
- A frequentare con assiduità le funzioni religiose e ad intervenire alle riunioni del Circolo e alle pubbliche manifestazioni religiose che il Consiglio ritenesse opportuno stabilire…..
Come si vede non si trattava certo di un circolo ricreativo, anzi si direbbe che lo svago fosse gusto giusto tollerato quando si era liberi da altri impegni, il che non doveva poi capitare molto spesso. Comunque sia questo Circolo decollò ed ottenne anche una ufficializzazione, un vero e proprio “Imprimatur” dell’allora Cardinale Mistrangelo con una bolla di nomina dell’Assistente Spirituale di cui si fa riferimento al precedente articolo 4 dello Statuto. Non abbiamo molti documenti di quei tempi, a parte alcuni verbali delle riunioni del Consiglio, stilati dall’assistente Don Giovanni Arpioni, redatti per altro in modo molto formale, per cui non si riesce a capire se le cose andassero bene o male, non trasparendo nessuna emozione, né critiche od elogi. Sappiamo invece che il primo presidente fuLuigi Megli.
Tempesta
Su un’attività che sembra aver preso dunque il suo tranquillo tran-tran, ecco che invece piomba improvvisamente lo scandalo il funesto 12 Febbraio 1924.
Il Circolo viene chiuso di autorità dallo scandalizzatissimo assistente! Pare il crollo di una iniziativa che aveva appena due anni di vita. Leggiamo insieme in versione integrale il verbale di Don Arpioni nel quale egli decreta la chiusura del circolo; si tratterà di un vero e proprio tuffo in una mentalità che non ci appartiene più, secondo la quale si consideravano i giovani non come tali, con i loro problemi di crescita, i loro desideri di sfogare una grande vitalità, ma come dei piccoli uomini, tenuti a comportarsi sempre in modo serioso ed irreprensibile:
“Fatta una inchiesta, a me sottoscritto risultò quanto appresso in ordine ad alcuni inconvenienti per causa dell’apertura del circolo.
l) La Domenica 10 Febbraio 1924 avanti le ore 14 il Circolo era aperto per il gioco e vi si trovavano Piccardi Giulio, Bondi Guido, Gazzini Armido ecc…, mentre nella stanza dei carri si trovavano a far camorra Guasti Niccolò e compagnia rinserrandosi a vicenda nel sottoscala ivi esistente.
2) Alle ore 15,20 dietro mia intimazione, specie con osservazione speciale a Sbigoli Dino, fu chiuso il Circolo e le due squadre, diventate amiche, si portarono in gruppo nella Chiesa, sostando in fondo dalla parte del Nazareno: per tutto il tempo delle Funzioni fecero gazzarra senza rispetto né alla Chiesa, né al SS. Sacramento; anzi nel tempo stesso della Benedizione col SS. Sacramento il Gazzini Armido andò all’altare del S.Cuore a prendere un campanello, quivi esistente, per suonarlo.
3) Finite le funzioni tutti indistintamente si riversarono sotto la loggia della Chiesa e non si rispettò ne la Chiesa ne Dio: continuando la gazzarra e alle rimostranze di me sottoscritto Parroco non si curarono di nulla; anzi fecero di peggio, di modo che la seconda volta dovetti intervenire.
4) Quando fu aperta la misericordia perché i fratelli dovevano prestare servizio, io stesso andai ad intimare la chiusura del Circolo (vidi che vi erano Piccardi, Bondi, Gazzini, Sbigoli) ma non mi diedero retta e fui costretto nuovamente a mandare Perini Giovanni ad intimare la chiusura, e tutto in vista del servizio religioso che doveva prestare la Misericordia. Questo è quanto mi risulta certo da prove, osservazioni fatte da persone degne di fede. Per la indecenza della cosa che si ripete spesso e volentieri sia alla Messa che alle funzioni quindi emergono due cose:
Prima: quelli sopra nominati appartenenti al Circolo se la intendono benissimo con la squadra Guasti Niccolò e compagnia.
Secondo: da tutti indistintamente non si vuole rispettare ne me Parroco (e di ciò poco mi importa), ma però io non potrò mai tollerare che si manchi di rispetto alla Chiesa e a Dio da chi pretende far parte di una associazione che si dice Cattolica.
Per quanto sopra, aggiunto a tutti gli antecedenti, fino ad oggi intendo chiusi i locali del Circolo.”
Certo questi ragazzi in questa circostanza hanno esagerato; ma come doveva essere oppressivo avere sempre a che fare con persone che anziché richiamare, intimano!
Quiete
Dovette trattarsi si una burrasca come quelle estive che fanno tanto strepito, che mettono paura, ma che si risolvono in poco tempo: infatti il Circolo riaprì presto, come attestano documenti successivi, anche se non ci doveva essere molto accordo fra i turbolenti giovani e l’apparentemente burbero Don Arpioni. Infatti si trovano episodi movimentati di nuove nomine Arcivescovili di Assistente che vengono bruscamente declinate (è l’anno 1926), ed un promemoria di Don Arpioni in cui si leggono frasi come le seguenti, che rivelano come qualche problema di “relazioni” ci dovesse essere:
“Col Fanelli e Bondi era stato fissato di fare adunanza ed io avevo stabilito il 23 Maggio 1926 ma non vidi nessuno e neppure seppi più nulla.”
“Nel Giugno 1926 fu ideato di fare il gagliardetto sezione Aspiranti ed io lo seppi solo quando fu iniziata la raccolta delle offerte e in via privata, ma dal presidente nulla mi fu comunicato.”
“Il 16 Luglio comunica il Presidente lettera scritta a me con invito di prender parte alla Processione di S.Andrea a Rovezzano. Oggi 19 non ho veduto nessuno, non ho saputo nulla né si sono degnati di mandarmi lettera.”
Insomma questo povero prete si sentiva, a ragione, isolato e ogni tanto insorgeva prendendo provvedimenti drastici che però poi finivano per essere annullati come prova il fatto della riapertura del Circolo nel ’24 ed il suo interessamento alle vicende del Circolo nel Maggio del ’26, quando a Gennaio aveva rifiutato la nomina di assistente!
1929-1940
Nere (in tutti i sensi) nubi cominciavano ad addensarsi all’orizzonte in quegli anni; una pazza frenesia eccitava gli animi e dalla convulsa agitazione della Germania nazista stava per scoccare la scintilla che avrebbe scatenato il più grande dramma che l’umanità abbia mai conosciuto: la seconda guerra mondiale. Anche alla nostra comunità parrocchiale, e con essa il gruppo di AC, sarebbe toccato imparare a vivere e a convivere con la guerra, in un drammatico crescendo che avrebbe visto via via prima la partenza dei giovani per il fronte, poi l’amaro sapore della sconfitta, per finire ai neri giorni della occupazione, dei combattimenti alla porta di casa.
Per provare a capire come si svolgesse la vita del circolo Santa Croce in questi anni si possono prendere in considerazione alcuni aspetti fondamentali.
Feste e festività
Per rendersi conto di quanto e come ci si comportasse per le festività prendiamo in esame in particolare l’anno 1930. L’anno non è stato scelto perché particolarmente significativo: il fatto è che negli anni successivi le iniziative si ripetono con puntuale regolarità.
Cominciamo dunque col 31 Dicembre 1929.
Ma è l’ultimo dell’anno! Facciamo dunque festa! E infatti il componenti del circolo sembrano chiedere timidamente all’assistente, mi sembra di vederli col viso basso e col cappello in mano, di poter festeggiare. Il sospirato consenso viene accordato, e infatti sul verbale del consiglio si legge:
- “Martedì 31 Dicembre con l’accordo dell’assistente ecclesiastico Signor Pievano faremo una riunione familiare ove con un po’ di allegria seppelliremo il morente anno 1929 e saluteremo il nascere del 1930 con auguri di buona fortuna per tutta la grande famiglia dell’A.C.I., sono incaricati per coloro che vi prendono parte e per il ritiro della quota che è fissata in £. 2,50, per gli attivi Bacci Egisto, per gli uomini cattolici Corsi Galardo”.
Anniversario fondazione del circolo. Qui vediamo il programma predisposto per celebrare il “compleanno” del Circolo. E’ certamente un’occasione di festa ed infatti come si vede non manca il banchetto, ma non possiamo non renderci conto che per la maggior parte del tempo il programma prevede ripetuti momenti di preghiera e di riflessione inframezzati da conferenze di tipo culturale e soprattutto di formazione. Tutto questo ci dà conferma della natura di questo gruppo, fedele alle finalità proprie dell’Azione Cattolica
- Il 30 Marzo ricorrendo il 10° anniversario della fondazione del circolo S. Croce è stato disposto di celebrare quella data nel miglior modo possibile cioè col seguente programma:
Giovedì 27, Venerdì 28 e Sabato 29 esercizi spirituali tenuti dal Molto R.ndo Don Castelli alle ore 20 nell’oratorio della Misericordia in preparazione al giorno 30 che sarà celebrato come appresso;
ore 8 comunione,
ore 9 colazione,
ore 10 messa solenne per i morti del circolo ed associazione al (?). Saranno presenti alla cerimonia le famiglie alla quali appartennero i morti.
Ore 11 riunione nella sede del Circolo dove sarà tenuto un piccolo discorso in attesa della mensa che sia pronta.
Ore 12 Banchetto che sarà tenuto dal socio Pinzauti Oreste che tanto gentilmente si è offerto insieme alla famiglia unita affinché riuscisse nel miglior modo possibile.
Ore 16 ora di adorazione predicata con Te Deum di ringraziamento al quale prenderanno parte le associazioni locali come da avviso mandato.
Ore 17 ultima per questo giorno riunione nel Circolo dove sarà tenuta una conferenza dal Ragionier Mario Calvelli delegato Regionale dove con la sua parola chiara ed affascinante svolgerà un interessante tema tutto riguardante l’Azione Cattolica, vi sarà pure la relazione del circolo dalla nascita ad oggi, relazione fatta da un socio del circolo stesso, parteciperà a detta conferenza e relazione i Circoli Badia a Ripoli e Ponte a Ema
Festa della Santa Croce. Il circolo porta il nome “della Santa Croce” per cui questa festività deve essere celebrata come si deve. Anche in questo caso il programma prevede formazione e preghiera e… basta! Se si confronta col clima festaiolo di certe ricorrenze di oggi bisogna dire che i tempi (e le persone) sono proprio cambiati
- Viene compilato il programma per la Domenica 4 Maggio ricorrenza della S. Croce patrona del nostro circolo ed è il seguente: ore 9 comunione generale, ore 15 adunanza di assemblea vespro e processione con vessillo
Festa dell’adesione. Questo è un appuntamento che a distanza di più di 90 anni non è cambiato. La festività dell’Immacolata l’8 Dicembre (in questo caso la Domenica 7, ma non siamo troppo pignoli) era allora ed è rimasto ad oggi un riferimento fisso per l’adesione all’Azione Cattolica. E ciò fa piacere, almeno in questo ci riconosciamo eredi dei soci di allora, nell’affidarci alla nostra Madre Celeste.
- E’ stata indetta per la Domenica 7 Dicembre una giornata sociale ove l’ unione U.C. nel suo primo anniversario festeggia detto giorno con il seguente programma:
ore 9 – apertura della giornata e relazione della sezione fatta dal segretario Corsi,
ore 10 – S. Messa celebrata dall’assistente ecclesiastico Signor Pievano.
ore 11 – Assemblea generale,
ore 15 – funzione di chiusura,
ore 16 – riunione nella sede sociale ove verranno eletti i componenti del nuovo consiglio per l’anno 1931. Lunedì 8 Dicembre festa dell’Immacolata Concezione
ore 8 – Comunione insieme a i giovani della Gioventù Cattolica.
Il presidente raccomanda che a tutte queste riunioni non si verifichino assenze tanto più alla S. Comunione di prendervi parte al completo.
Moralità e vita religiosa
Come secondo aspetto possiamo approfondire meglio quanto già osservato in precedenza, e cioè come particolare attenzione fosse rivolta alla formazione morale e religiosa degli aderenti.
Riguardo alla prima serva come esempio il vedere come nel mese di Gennaio tutti gli anni si partisse armi in resta per la battaglia contro la blasfemìa. I fiorentini sono noti in tutto il mondo per la pessima abitudine del “moccolo”, usato quasi come un intercalare ed a volte diventato talmente abitudinario da passare quasi inosservato da parte del suo stesso autore.
A questo proposito si ricorda il caso, avvenuto diversi anni fa, di un contadino affetto da questo vizio che, ricevuta la richiesta da parte di un gruppo di giovani seminaristi di avere in prestito un rastrello, si mise con tutta la generosità possibile a cercarlo. Ma poiché non lo trovava cominciò ad esplodere in improperi della massima blasfemìa che facevano arrossire e vergognare i giovani. Al che uno di costoro disse, tentando di far cessare quel profluvio di epiteti ingenerosi nei riguardi di Nostro Signore e Creatore: “lasci stare, non si preoccupi, ne faremo a meno”. Ma l’indomito contadino rispose “Noe… e s’ha a trovare, porco…, e l’era qui Madonna… e smettetela di dimmi di non cercallo, sennò vu’ mi fate anche moccolare!”.
Proprio a Firenze dunque una battaglia contro la blasfemìa assumeva particolare significato e la si combatteva secondo il seguente programma:
- “Il Presidente legge la circolare della F.I.U.C. (Federazione Italiana Uomini Cattolici – NDA) qui acclusa spiegando lo scopo e l’alto significato che detta circolare ha, perché riguarda il problema più urgente che l A.C.I. deve imporsi di risolvere, e richiama tutti al giorno 26 e che viene chiamata giornata antiblasfemia, in detto giorno sarà fatta la comunione alle ore 8 e a sera ora di adorazione predicata dal Molto R.ndo Don Dario Castelli.”
Dunque S.Messa e preghiera, realizzando quello che in un certo senso appare quasi un paradosso in quanto il “protettore” implora l’aiuto di Colui che vorrebbe “proteggere”.
Non solo le parolacce sono nel mirino, ma anche altre espressioni ritenute “sospette” e che invece agli occhi di oggi appaiono assolutamente innocenti. Perfino il ballo non era visto di buon occhio, e in quanto alle rappresentazioni… alcune di quelle che si vedono oggi danno senz’altro ragione agli intransigenti soci dell’epoca
- Il signor Casini Lorenzo è incaricato della moralità procurando che nella cerchia della parrocchia non si offenda questa, sia con balli, ritrovi o rappresentazioni, avendo a tal uopo pieno diritto d’accordo col consiglio e con la giunta diocesana di intervenire presso le autorità civili.
Riguardo alla vita religiosa vediamo qui di seguito come l’adesione all’ Azione Cattolica non fosse per niente considerato come qualcosa di formale, ma un impegno preciso il cui rispetto non era per niente lasciato alle sensazioni del momento, al contrario: se si sgarrava troppo era pronto il provvedimento disciplinare.
- Comunione mensile, essendosi stabilita la comunione mensile anche da consigli antecedenti ma visto la poca frequenza dei soci viene rinnovato a tutti l’invito e la preghiera di prender parte a dette comunioni, poiché il consiglio avendo deliberato per l’acquisto di un registro dove verranno segnate tutte le assenze e le presenze di ogni singolo socio per poi prendere gli opportuni provvedimenti verso coloro che non sentono questo dovere.
Il senso di appartenenza
Oggi, come si è soliti dire, “non ci sono più le ideologie”, è diventato difficile sentire di gente che si accapiglia per questioni politiche, e comunque ci possono essere opinioni divergenti su questioni concrete di provvedimenti presi dai governanti, ma difficilmente su questioni “di principio”.
Una volta non era così, una volta era evidentemente forte la contrapposizione fra chi si riconosceva nell’insegnamento della Chiesa e chi no, al punto che si ergevano dei veri e propri “steccati” culturali e ci si teneva a fare una distinzione fra “noi” e “loro” lasciando poco spazio per il dialogo con questi ultimi, sollecitando anzi una contrapposizione di schieramenti attraverso spesso l’indizione di veementi “battaglie” su varie questioni, come quella che abbiamo già visto contro la blasfemìa.
Perciò era disdicevole non mostrare da che parte si stava, anche se il regime spesso creava non poche difficoltà:
- Il Presidente fa presente che non si vede il distintivo all’occhiello, si dichiara dolentissimo e vuole che da qui in avanti venga senza rispetto umano portato (?) dice è obbligo portarlo.
- E’ stato diffidato il presidente Bondi a non apporre bandiere estere alla sede locale, come pure quella Pontificia.
Per essere convincenti nei riguardi di “loro” bisognava anzitutto sapere cosa si dice, per cui erano necessarie sia una formazione che una informazione, in modo che, così armati, si fosse pronti ad affrontare l’ ennesima “buona battaglia” della propaganda:
- Il presidente non mai stanco della più volte ripetuta questione la propaganda esorta a non stancarsi mai di continuare la buona battaglia in mezzo al popolo poiché tanti che non hanno ancora inteso la buona parola possano capirla ed unirsi a noi in mezzo a i circoli cattolici.
- Il presidente raccomanda caldamente l’abbonamento al giornale Noi Uomini che è obbligatorio.
Marcatura stretta
Possiamo notare come ci fosse una stretta e continua relazione col centro diocesano, il quale per parte sua esercitava un attento controllo su tutto quello che si faceva lasciando ben poco margine di autonomia ed iniziativa al singolo gruppo parrocchiale. Forse l’aria di dittatura che si respirava a livello politico nazionale aveva un po’ condizionato anche il modo di pensare della gente comune e degli organi ecclesiali anche se nell’ideologia dominante non si riconosceva.
- E’ stata fatta dal presidente federale Signor Rodolfo ragionier Frangioni in detto giorno la consueta visita annua del Circolo, è stato messo al corrente dal presidente Bondi Giovanni dell’attività svolta dalla sezione U.C. nei suoi 3 mesi di vita, della quale il presidente federale sembra soddisfatto, ma raccomanda una più intensa attività di bene in mezzo alla sezione e fuori.
- Apertasi l’udienza, il Ragionier Braccesi riempie il questionario sul funzionamento e attività del Circolo, facendo le sue debite osservazioni e raccomandazioni su molti punti, fra le quali partecipazione dei soci alle sacre funzioni; organizzare divertimenti buoni e sani in mezzo al circolo; l’iscritto all’azione cattolica si comporti come deve in mezzo alla società essendo di buon esempio agli altri, raccomanda sempre il signor Braccesi di usare carità; di essere caritatevoli in tutto e per tutto di istituire e organizzare in seno al circolo un po’ di assistenza verso tanti bisognosi che oggi vi sono, adoperarsi insomma in tutte quelle buone opere che sono e spettano agli iscritti all’ Azione Cattolica, corredare il circolo di una biblioteca con buoni libri affinché i soci vi trovino buona lettura e serva ad essa di richiamo e di voler più frequentare la sede sociale distraendoli da tanto divertimento non adatto al giovane e uomo cattolico.
Che la Domenica sia il giorno del Signore noi credenti ne siamo convinti, che nonostante questo è necessario che qualcuno lavori lo stesso (vedi ad esempio le forze dell’ordine) è pacifico, ma che si tenti di far dimenticare la natura sacra delle festività stimolando la gente ad esercitare altre attività costringendo così anche tanta altra gente a lavorare, questo non ci sta bene. Sappiamo come oggi i centri commerciali siano diventati i templi del nuovo culto del consumismo dove tanti vanno a celebrare il loro rito domenicale, ma che anche all’epoca qualche problema di questo genere ci fosse ce lo confermano le seguenti righe:
- Domenica 4 Marzo prossimo corr. Secondo le direttive della federazione Diocesana sarà tenuta una giornata di propaganda pro riposo festivo per la santificazione della festa. La mattina sarà tenuta una conferenza da un membro della federazione fiorentina il quale illustrerà i metodi da adottare perché la festa sia veramente santificata.
Pellegrinaggi
Ho deciso di partire per un viaggio dall’altra parte del mondo: mi collego ad Internet, guardo se c’è qualche offerta last-minute, prenoto il biglietto elettronico, metto due cose in valigia ed in poche ore dopo essere saltato da un treno super-veloce ad un aereo low-cost ho raggiunto la mia meta.
Facile oggi, eh?
Tanti anni fa non era così: ogni viaggio rischiava di diventare una vera epopea per la lentezza e poca affidabilità dei mezzi di trasporto, per la scarsità delle vie di comunicazione ed anche per l’insufficienza degli strumenti di comunicazione. Il telefonino era di là da venire e molti si ricorderanno la complicazione di trovare una cabina telefonica funzionante, la difficoltà di reperire il tabaccaio che ti vendesse i gettoni (a meno di non essere stati previdenti alla partenza riempiendosi le tasche di qualche chilo di quei dischetti ramati), e l’ansia, se si è avuta la fortuna di trovare in casa la persona cercata, di finire prima il discorso dei gettoni che inesorabili cadevano giù.
Nonostante questo non mancava il coraggio di organizzare dei pellegrinaggi, magari in località non troppo lontane, ma che comunque consentivano per un giorno di lasciare i luoghi consueti, di conoscere nuovi posti, di passare una giornata in spirito di comunità, di allegria e perché no, anche di avventura.
Vediamo qui i pellegrinaggi organizzati negli anni ’30:
- (27/04/1930) Il Presidente ringrazia con la massima compiacenza la partecipazione di molti soci alla visita dei S. Sepolcri, visita organizzata dal Molto R.ndo Don Coppini priore di Badia a Ripoli che invita al suo circolo insieme al nostro di Pieve a Ripoli furono effettuate le visite suddette.
- (11/02/1931) Pellegrinaggio a Padova in occasione delle feste centenarie di S. Antonio, che verrà creato all’uopo un comitato per le prenotazioni dei partecipanti, i quali a cognizione della spesa e tutto, che poi si ritireranno senza giustificato motivo quei soldi che detti partecipanti hanno versato saranno rivolti a pro locale.
- (30/07/1932) Il giorno 31 Luglio sarà tenuto un pellegrinaggio al Santuario di Bocca di Rio al quale possono prender parte uomini e donne che sotto la guida e le direttive dell’assistente ecclesiastico Signor Pievano viene stabilito il seguente programma. Ore 5 partenza da pieve, ore 8 arrivo al Santuario, messa e comunione. Ore 10 ora di adorazione, ore 11 ½ ricreazione, ore 12 refezione e riposo, ore 2 ½ ritrovo nel Santuario recita del S. Rosario. Ore 3 partenza
- (24/04/1934) Il 27 Maggio pellegrinaggio diocesano a Lucca per la Beata Gemma Galgani. Al prossimo consiglio verrà delineato il programma. Intanto chi desiderasse parteciparvi può darsi in nota.
- (07/02/1937) Pellegrinaggio a Roma. Alla presente adunanza viene stabilito un pellegrinaggio a Roma per tutti gli iscritti a i vari rami d’ Azione Cattolica e questo verrà tenuto nel prossimo settembre, come regolamento degli iscritti è il seguente: un incaricato si curerà di ricevere le iscrizioni e le quote mensili di £. 10 che l’iscritto perderà la metà dei soldi versati se senza un giustificato motivo si ritirerà dal pellegrinaggio.
- (16/04/1939) Pellegrinaggio a Firenzuola sarà tenuto il giorno 21 Maggio, si fa presente a tutti i soci che partecipino per rappresentare la nostra associazione, per far vedere che siamo capaci di fare qualc’ osa anche noi, sarebbe assurdo che la nostra associazione venisse rappresentata da 2 o 3 questo dimostrerebbe di non fare l’azione cattolica perché anche qui si dice di fare qui e là ma poi quegli che vogliono fare tante cose non fanno mai nulla e non vanno nessun posto altro che dove piace a loro.
Le iniziative di viaggio proseguirono anche negli anni successivi, ed è qui doveroso ricordare brevemente l’opera di Marcello Ciceri che negli anni ’70 diede vita ad un vero e proprio gruppo che, sotto l’impulso del pievano di allora Don Quirino Paoletti e la collaborazione della sua sorella Marisca, estese la sua attività non più solo a viaggi di pellegrinaggio ma anche a gite più specificatamente di tipo turistico cui partecipava assiduamente un nutrito gruppo di persone, definito dal sempre presente pievano “panfilo ripulense” che percorse in lungo e in largo mezza Europa per un buon numero di anni.
Attività caritativa
Anche se il fine principale dell’Azione Cattolica è quello formativo, non si può tuttavia ignorare anche una attività di tipo caritativo e di soccorso di chi è nel bisogno quando viene il momento, o quando il sempre presente Centro Diocesano lancia una iniziativa.
Qui sono riportate alcune iniziative di raccolta fondi per finalità diverse, una delle quali volta a contribuire per i lavori di ristrutturazione della chiesa che, come già detto, avvennero proprio in questo periodo quando era pievano Don Crocetti.
- La sezione U.C. unita ai giovani si adopera dietro impegno preso di aiutare il signor Pievano dal lato finanziario col portare e ritirare le schede nel popolo per portare al compimento la nostra magnifica chiesa.
- Su proposta del presidente Bondi d’accordo con tutte le associazioni parrocchiali è stato deciso fare un piccolo regalo ricordo al nostro assistente ecclesiastico Don Leone Crocetti Pievano che viene trasferito alla Chiesa Propositura di Castelfiorentino. Questa sera stessa sarà a lui consegnato. Dovrà essere pure ripresa l’attività sociale appena sarà fra noi il nuovo assistente o Pievano.
- Resoconto frutta. In questo anno 1938 il ricavo frutta pro seminario è stato di £. 145. A questo scopo essendo state avanzate delle proposte per nuovi sistemi di raccolta viene deciso di studiare per l’anno venturo 1939 sistemi che diano maggior profitto ed una organizzazione accompagnata da una maggior volontà di tutti i soci.
In piena guerra
Per farsi un’idea di come si svolgesse in quel periodo la vita dell’Associazione in Parrocchia si possono prendere ad esempio alcune delle relazioni annuali, sapendo bene che il riproporle tutte sarebbe abuso alla pazienza dei lettori, infatti esse sono in genere piuttosto simili fra di loro, da cui si può dedurre che la vita, sia pure in frangenti tanto difficili, scorresse serenamente, senza, grossi scossoni in un tranquillo affidamento in Dio e nella propria volontà di superare prima il momento difficile della guerra, e di attuare poi una coraggiosa ricostruzione.
Mi sembra giusto sottolineare come nelle pagine che seguono, che dovrebbero essere solo una elencazione di attività svolte, e quindi piuttosto arida, si nota invece una vera passione per l’associazione. Uno stimolo anche per noi. Quelli che seguono sono alcuni passi della relazione per l’anno 1942-43, in pieno periodo bellico, (e si sente! ) mentre era Pievano Don Masti e presidente di A. C. Cappelli Serafo.
” L’ anno scorso mi ricordo vi esposi la situazione dell’Associazione in tre parti. E cioè: gli Attivissimi/ i frequentatori a comodo suo/ gli assenti assidui ad adunanze ecc… Questi pochi. Diedi un anno di tempo per decidere. Ed ora il consiglio deciderà certamente in base a statistiche concrete e se anche con rincrescimento il giorno 8 Dicembre non verrà ad essi consegnata la Pagella questo non è per colpa nostra…
Carissimi giovani più volte in queste assemblee la mia parola l’ ho rivolta come un grido di incitamento ad infiammare, a formare i giovani in quel Seminario che è il Circolo Gioventù Cattolica, se gli aspiranti sono curati, si avrà domani dei bravi giovani, ed infine dei bravissimi uomini, ecco perché la mia parola mi vuoi giungere a voi perché ormai per esperienza vedo che gli uomini attivissimi sono coloro che provengono dalle file della Gioventù Cattolica…
Gli uomini hanno incarico della gestione del teatro, e della mescita che amministrano con scrupolo e che ogni anno porta buon provento alla cassa generale delle Ass. Maschili che si accantonano a qualche migliaio di lire che teniamo gelosamente custodite. Perché per il momento non facciamo spese, ma il dopoguerra è desiderio di tutti avere un bel locale ove oltre ad accogliere i bravi soldati, anche il popolo nostro. E questo lo vedremmo a suo tempo. Intanto attendiamo con ansia che cessi la strage che ha divampato il mondo e che disgraziatamente ora incombe sul popolo generoso d’Italia. Come Cattolici e come Italiani, in questo momento triste per noi dobbiamo rivolgere la preghiera al Signore perché meno dura ci dia la prova, e non tralasciate le preghiere per i nostri soldati, ed in modo speciale coloro che sono in prigionia e coloro che sono in zone che non possono dare sue notizie. IL SIGNORE GLI ASSISTA. Cari uomini… vi prego intensificare la Vita Spirituale, la Vita organizzativa, frequentate la Sede stiamo uniti al nostro Parroco, nostro Capitano che uniti a lui potremo lavorare nel campo in cui fortunatamente siamo stati chiamati. E la parola di un vecchio dirigente dei giovani oggi prigioniero mi scriveva: “raccomando a te e a tutti: continuate senza interruzioni. Non lavorare sarebbe mancare anche di rispetto a chi molti più sacrifici di noi stanno facendo. E domani tornando questi e le loro care famiglie al nostro Circolo potranno dire noi abbiamo fatto il nostro dovere.”
Il dopoguerra
“Di buoni propositi è lastricato l’Inferno” si dice. Ma i buoni propositi fatti proprio nei momenti più difficili sembrano svaniti nel nulla proprio in quegli anni in cui è il momento di rimboccarsi le maniche e ricostruire l’Italia dalle macerie. Infatti il vecchio circolo di cui abbiamo seguito le peripezie dell’anteguerra si ripresenta nei primi anni successivi al conflitto mondiale più che mai nell’occhio del ciclone: è infatti di questo gruppo che i responsabili non sono soddisfatti, e non risparmiano certo frecciate polemiche ai componenti; dalle quali si deduce che, pur facendo un po’ di tara sui toni trionfalistici tipici dell’epoca, gli altri gruppi dovevano andare meglio.
Vediamo perciò cosa diceva nell’anno 1947 il responsabile nella sua relazione:
“Attività mediocre non soddisfacente quella dell’anno ormai passato, attività che avevamo voluto imperniare su un rinsaldamento dell’associazione e che ha invece finito per essere come al solito apatica come apatici sono i suoi soci, priva di quella cooperazione necessaria e indispensabile qual è in tutte le altre Associazioni… Ecco un breve resoconto schematico: 30 i tesserati, di questi 10 si sono visti una volta sola in tutto l’ anno; i rimanenti frequentavano saltuariamente, di modo che alle adunanze non eravamo più di 7 o 8, e potete immaginare quanto ciò fosse scoraggiarne tanto che non si sapeva più se continuare a fare il catechismo o rimandarlo a quando ci fossero più presenti… Del passato ora non ci rimare che un ricordo, un ricordo però che ci deve servire da insegnamento per non ricadere negli errori commessi. Tralascio dal biasimare sia i soci tutti sia i componenti del consiglio che non hanno contribuito per niente all’ organizzazione dei vari movimenti dell’Associazione (scommetto che e’ è qualcuno che ha dimenticato persino di farne parte). Tralascio di far note di biasimo che non è il caso né il momento, per invitarvi ad iniziare subito la nostra nuova attività. Ci siamo messi a studiare col Signor Pievano come è che si può uscire da questa apatia morbosa che attanaglia e fa stridere le ruote del carro di questa nostra Associazione, come poter uscire da questo torpore e risolvere la situazione; vi dico che non è cosa semplice poiché uno solo non la può risolvere, ma può essere una cosa semplicissima poiché la possiamo risolvere tutti insieme”.
Nonostante i fulmini del dirigente non si può certo dire che il circolo fosse proprio a terra; diciamo piuttosto che aveva i suoi alti e bassi, che viveva trasportato dal vento dell’entusiasmo: ogni tanto si riposa placidamente, per poi improvvisamente essere trascinato in un vortice di entusiasmo. E’ un po’ sempre così anche ai nostri giorni, la storia si ripete. A prova di questo abbiamo le parole del responsabile dell’anno successivo: tutt’altro tono, anzi soddisfazione per quello che è stato fatto. Si legge volentieri la descrizione della vita nel Circolo; dà una sensazione piacevole il pensare a tutti quelli che la sera si ritrovavano nei locali, dopo una giornata di lavoro, o di studio, per scambiare due chiacchiere con gli amici, preferendo le parole di un conoscente a quelle impersonali della televisione come tanti fanno oggi:
“…E così tralasciando di elencare le feste organizzate più o meno riuscite, le gite, i giuochi interni, di elencare i ritiri, dei quali uno per lo meno mi ha accontentato, le messe sociali, l’ organizzazione delle processioni ecc…, vengo a considerare il funzionamento di questo organismo che ammalato da tempo abbiamo cercato di risanare, di ravvivarlo da quell’abbattimento in cui era caduto.
E mi pare che un certo miglioramento ci sia, il cuore per lo meno mi pare che comincia a pulsare come prima, tanti anni addietro, vorrei dire meglio che prima. E’ un’ osservazione puramente visiva, tutti ce ne possiamo render conto, dico la presenza, e la frequenza nei locali. E non potete immaginare quanto riempa di gioia, quanta soddisfazione dia il vedere quei locali prima quasi sempre disabitati (Gigi e Caio, Gigi e Tizio, il più spesso Gigi solo) che risuonano di un’ allegria e di una vitalità che fanno invidia a tanti altri locali di ritrovo, e che ci invitano sempre più a frequentare perché sappiamo che venendo qui c’è più o meno con chi fare la chiacchieratina, magari la giocatina, insomma l’ amico col quale parlare degli ultimi avvenimenti.”
Col tempo, e col diffondersi di altri gruppi ecclesiali abbiamo assistito allo sfaldamento di questo gruppo uomini, che ha continuato con sempre maggiori difficoltà, vedendo i suoi componenti dedicarsi ad impegni più particolari, primo fra tutti il Circolo Ricreativo, che ha continuato a funzionare anche ai nostri giorni, sotto il patrocinio dell’M.C.L., ma anche questo sempre sulla cresta di un’onda malandrina che ora sale ed ora scende. Oggi, con la riforma dello statuto dell’AC un gruppo uomini non potrebbe comunque esistere perché è previsto solo il settore adulti che comprende uomini e donne, ma se anche così non fosse il numero degli aderenti è tale che sarebbe fuorviante parlare di “gruppo”!
Il Fattaccio
“Misterioso episodio a Monte Giovi. Assalto notturno in un campo di escursionisti.”
“In una notte della presente estate accadeva nei pressi di Monte Giovi (Rufina ) un episodio di criminale spavalderìa che ha impressionato e disgustato vivamente la popolazione locale pur essendo rimasto fino ad oggi assolutamente misterioso sia negli autori, sia il movente che lo ha determinato. In località Ponte alla Capra si era accampata fin dal precedente Lunedì una comitiva di escursionisti, dieci ragazzetti dai dodici ai quattordici anni dell’ACI di Pieve a Ripoli guidati da un capogruppo, a cui a pochi giorni di distanza si aggiungevano altri due giovani della Parrocchia di età poco superiore ai vent’ anni che si accamparono in una tenda più piccola. Il campeggio procedeva allegramente fra canti e giochi e con la collaborazione della popolazione locale compreso il fattore e il di lui contadino che fornivano latte e uova. Ecco però una notte, mentre due dei ragazzetti più piccoli montavano il primo turno di guardia, partire da una macchia poco distante dall’accampamento, due fucilate che si persero tra il fogliame degli alberi. Le sentinelle si precipitarono nella tenda gridando “sparano, sparano.”
Mentre i due alloggiati nella tenda più piccola si davano alla fuga verso il fondo della valle, il capogruppo riusciva a mantenere la calma tra i ragazzetti della tenda più grande. Dopo averli invitati a rimanere rifugiati uscì all’ aperto gridando “Chi va’ la?”. Nessuno rispose, ma alla seconda domanda altre due pallottole gli passarono vicino. Gli aggressori erano evidentemente due, dato che spararono a coppia, ma 1’oscurità e i cespugli impedivano di vederli. Si spostarono, aggirando l’ accampamento e continuando a sparare. Spararono dodici colpi con lunghi intervalli di circa un quarto d’ora. Poi finalmente tutto cessò. Il giorno dopo un sopralluogo compiuto con il locale guardiacaccia permise di ritrovare alcuni bossoli di fucile da guerra e si potè accertare da alcune felci piegate che due persone erano rimaste appiattite nei pressi dell’accampamento come per spiare. Di più non si potè sapere. La gente che abita nei dintorni, interrogata, si mostrò non solo indignata, ma anche meravigliata dell’accaduto. Che ragione poteva aver mosso l’ aggressione? Di rapina evidentemente non si poteva parlare, a parte il fatto che la zona era calmissima, nell’accampamento non vi era certo nulla che potesse attirare l’ attenzione dei banditi.
Improbabile anche la bravata politica: Pur non considerando la giovane età degli escursionisti è da notare che questi non vestivano nemmeno l’uniforme dei boy-scouts. C’era solo una bandiera raffigurante un’ aquila dipinta infantilmente da un ragazzo. Ma era troppo poco per dare nel naso agli eventuali intolleranti. Mistero dunque. E il gruppo degli escursionisti se ne torna a casa una settimana prima dello stabilito. E la gente del luogo ha continuato a parlare del fatto, incrociando le più assurde supposizioni.”
Questo articolo usciva i primi di Agosto del 1947 sul “Nuovo Giornale” di Firenze. La vita di un’associazione parrocchiale come l’A.C. scorre tranquilla da un anno all’ altro senza avvenimenti roboanti, infatti è proprio nella costanza e metodicità la sua forza al servizio della Chiesa, come le gocce che piano piano, una dopo l’ altra nei secoli riempiono e svuotano gli oceani, e come le formiche, ciascuna delle quali porta per tutta la vita il suo minuscolo contributo di cibo per tutta la comunità. Anche il campeggio a Monte Giovi era una tappa del cammino annuale per i giovani di A.C. della Pieve; ma quel 1947 va ricordato per questo episodio che stravolse la normale routine. Chissà quanto se ne parlò nei giorni successivi; quante mamme preoccupate avranno tenuto a casa i propri ragazzi, e quanti babbi avranno espresso la propria indignazione manifestando truci propositi, poi fatti rientrare dal sopravvenuto buon senso; e quante “chiacchiere sui fatti recenti” si saranno fatte al Circolo; e quante donnine, forti del senno di poi, avranno bisbigliato all’ amica mentre facevano la calza ad un fresco ” lo dicevo io che non era il caso di mandarli.”
“Di sicuro però una risonanza ci fu a livello “politico”: qualcuno cominciò ad insinuare che la responsabilità della sparatoria fosse di elementi appartenenti al Partito Comunista. Eravamo in un periodo critico per la storia d’Italia: era il momento in cui si doveva scegliere per 1’occidente o per il comunismo sovietico, e fra “rossi” e “bianchi” non ci si parlava e sorrideva come si fa ora; e le allegre burle di Peppone e Don Camillo esistevano solo nella mente di Guareschi. La sottoscrizione “Pizzi Romualdo” di Bagno a Ripoli reagì indignata alle suddette insinuazioni e pubblicò un manifesto in cui è riportata la testimonianza del Parroco di Monte Giovi il quale affermava che non esiste alcun indizio per attribuire a chicchessia la responsabilità del brutto episodio, e si conclude con frasi tipiche del linguaggio politico comunista di allora, che ora ci fanno un po’ sorridere “…questa Sottoscrizione mette in guardia la popolazione ed i compagni dalle provocazioni delle quali alcuni elementi si servono in ogni occasione per gettare fango e discredito sui lavoratori e sui partiti che li rappresentano”. Anche questo è un quadro della nostra storia.
Credo del comunista
Io credo in Togliatti dittatore del caos e dei disordini nazionali, ed in Pietro Nenni suo unico figliolo nostro tiranno il quale fu concepito in virtù di Stalin nacque dal fascio di Bologna patì sotto Benito Mussolini fu perseguitato rifugiato e sepolto all’estero: dopo 20 anni risuscitò da morte discese in Italia sedè al Governo ove siede alla destra di Togliatti dittatore onnisciente venne dalla Russia a giudicare i miseri e gli onesti. Credo nel Social Comunismo, nella distruzione dell’Italia, nella miseria dei popoli, nell’annullamento della giustizia, nella morte dell’Italia. Amen.
Un esempio
Gli esempi se sono buoni esempi, vanno seguiti, però vanno fatti conoscere per mostrare che il compiere autentiche maratone ciclistiche come quella che sto per descrivere non è poi un’ impresa leggendaria, ma che c’è chi ci si cimenta. Basta avere volontà, tanta dedizione (egambe buone in questo caso) e le cose che a qualcuno sembrano eccezionali, per qualche altro invece sono naturali e anzi doverose. Quello che segue è il testo di un bigliettino scritto da Antonio Brenzini il 14/9/1945 al Pievano; un testo semplice senza grandi parole, tutt’altro, ma di esempio per tutti:
“Questa sera mi sono recato al centro dove mi hanno detto che assolutamente prenda parte a Montughi, ad ogni modo il mio pensiero sarebbe quello di essere da ambo le parti; e gli spiego subito; – Io farei la comunione con noi, poi partirei in bicicletta e farei in tempo per la riunione, a mia volta ripartirei per la Pieve verso le 12 dove sarei preciso per il pranzo. La sera poi si farebbe un’ altra capatina e così ci si disimpegna anche quella e non si scomparisce; ad ogni modo ne riparleremo domani sera insieme e poi anche in adunanza Domenica. Pertanto voglia essere gentile di rifarmi questa copia allegata e se crede che debba mancare qualcosa ce lo aggiunga, io sono un misero lavoratore della terra, e non della penna perciò fo del mio meglio, e sono sicuro di scomparire sempre; ma chi non fa, non falla.”
Un esempio di semplicità e di dedizione che mi è sembrato giusto riportare, anche perché chi fa così non “scomparisce” di certo.
5 – Ricreazione e bar
Ricreazione
L’attività del gruppo uomini e del gruppo giovani non si limitava alla formazione ed alla spiritualità, ma fin dall’inizio era presente anche una certa attività ricreativa. In un’epoca in cui la televisione era di là da venire si usciva volentieri di casa la sera (solo gli uomini, si intende) per scambiare due chiacchiere e per fare una giocatina a carte o al biliardo. Questi momenti di socialità contribuivano a creare anche uno spirito di comunità nella quale ciascuno era al corrente delle problematiche degli altri e spesso contribuiva volentieri a portarne sulle sue spalle una parte del carico. La frequentazione sviluppa la condivisione e la solidarietà, che è l’esatto contrario della privacy moderna.
Dunque, probabilmente fin dalla sua nascita nel 1920, il gruppo uomini ebbe una sua sede in quei locali posti sul fianco sinistro della chiesa che una volta erano utilizzati per deposito dei carri della Misericordia. In queste stanze c’era uno spazio per giocare a carte ed anche al ping-pong; se poi il giocare o il chiacchierare seccava la gola c’era anche la possibilità di farsi servire qualcosa da bere, perfino un caffè fatto con la macchinetta sul fornello. Ma non mancava certo la disponibilità di gazzosa, caramelle, duri di menta o stecche di liquirizia. Alla apertura e chiusura dei locali ed alla vendita era adibito un personaggio che da tutte le parti si sarebbe chiamato barista, o gestore, o anche custode, ma che invece alla Pieve e in pochi altri posti era definito “biscazziere” (quasi sempre con una zeta sola nei verbali dell’epoca), a periodi alterni retribuito o puro volontario a seconda del crescere o del calare della floridezza della nostra “bisca”.
Abbiamo ritrovato anche gli incassi (in lire) di questo primordiale bar e addirittura un grafico in cui si vede ci fu un grande sviluppo iniziale seguito da una rovinosa flessione. Alla fine del 1925 il bar fu chiuso, non sappiamo il perché; magari non rendeva più, oppure mancavano i permessi, o chissà quale altro fu il motivo.
Si ricomincia a parlare di riapertura solo nel 1931 ma non è così semplice: occorrono i permessi e bisogna adeguare i locali. Infatti una svolta decisiva alla riapertura si ha solo alcuni anni più tardi. I verbali dell’epoca ci testimoniano che, anche se lentamente, qualcosa si muoveva:
31/10/1937
Il Presidente propone alla deliberazione dell’assemblea l’apertura d’una mescita nel locale facendo presente le difficoltà e la spesa che questo porta, alla quale l’assemblea tutta delibera all’unanimità l’apertura di questa mescita.
09/01/1938
Mescita. Viene protratta l’apertura della mescita, inizieremo le pratiche nel prossimo Giugno per poterla avere nel Gennaio 1939. Causa questo spostamento ci sono da fare tante altre spese necessarie nei locali delle associazioni.
27/11/1938
Mescita. E’ da tanto tempo che si stava pensando ma finalmente ci siamo decisi e quindi si spera iniziare ai primi mesi dell’anno 1939.
14/05/1939
Mescita. Siamo già alla conclusione tali incaricati sono Megli Luigi e Corsi.
E finalmente il 12 Novembre 1939, dopo 2 anni di preparazione si può dare l’annuncio:
Il buffeth è già in funzione si prega tutti i soci di dare esito alle consumazioni.
Comunque, buffet o non buffet, il locale aveva sempre un suo orario di apertura, cambiato in continuazione negli anni, ma che comunque comprendeva sempre due o tre ore nei dopocena di alcuni giorni feriali e qualche ora la Domenica sia la mattina che il pomeriggio.
Il fatto che ci fosse il mitico “biscazziere” ad aprire i locali costituiva comunque un riferimento: chi voleva sapeva che ad una certa ora se fosse passato alla Pieve avrebbe trovato una porta aperta e qualcuno con cui passare un po’ di tempo in amicizia, e non è poco.
La bandiera
Oggi alla finestra al primo piano c’è ancora un portabandiera raccapezzato in qualche modo da un pezzo di tondino di ferro da cemento armato ma che non porta più l’oggetto per il quale era stato messo lì, ma tutt’al più in certi periodi dell’anno la bandiera della contrada “Alfiere” che è ospitata nei locali, ma che non è la padrona di casa.
E quell’anello privo del vessillo del padrone di casa ci racconta di quanto il sentimento delle persone sia cambiato dagli anni ’30 ad oggi. Infatti la bandiera è il simbolo intorno a cui si riuniscono delle persone che sentono di essere un gruppo, che hanno qualche ideale in comune, e quel simbolo rappresenta tutti loro e la loro unione. Nel mondo d’oggi in cui prevale l’individualismo è più difficile sentire il bisogno di un simbolo intorno a cui riunirsi. Quali sono le bandiere che si vedono sventolare qualche volta per le nostre strade? Quella dell’Alfiere, come già detto, o quella viola, o qualche volta quella italiana ma solo per i successi della Nazionale di calcio. Bisogna prendere atto che è così: solo lo sport riesce ancora a riunire la gente.
Siccome invece negli anni trenta “orgoglio”, “appartenenza” non erano parole vuote riferite ad un certo modo di essere credenti, ad esporre la bandiera dell’azione cattolica ci si teneva eccome e tutte le occasioni erano buone. Sui verbali di quegli anni si legge:
03/01/1931
Viene deliberato su proposta del presidente che alla sede sociale venga esposta la bandiera regionale nelle seguenti ricorrenze:
1° – per la morte di ogni socio o benemerita dal momento del decesso fino che non sia accompagnato all’ultima dimora. (in questa circostanza si capisce abbrunata)
2° – 11 Febbraio anniversario della conciliazione fra stato italiano e Vaticano
3° – 21 Aprile (Natale di Roma)
4° – 24 Maggio anniversario dell’entrata in guerra (Italia Austria)
5° – Prima domenica di Giugno (Festa dello Statuto)
6° – 15 Settembre natalizio di S.A.R. il principe Umberto
7° – 23 Ottobre (anniversario della marcia su Roma)
8° – 4 Novembre (anniversario della Vittoria)
9° – 11 Novembre Natalizio di S.M. Vittorio Emanuele III
Solo che bisognava stare attenti a cosa si esponeva perché il Duce che all’epoca comandava aveva l’occhio attento su quello che la gente faceva anche in un circolo cattolico di campagna come era all’epoca quello della Pieve. Infatti …
07/04/1935
Al presente consiglio viene dal presidente avanzata la proposta di fare una bandiera per la sezione che il consiglio approva.
06/06/1935
Come da verbale precedente che era stato deliberato fare la bandiera per la sezione, ma per ragioni inerenti a i nostri statuti il presente consiglio delibera non farla perché non possiamo modificare la bandiera nazionale.
Sempre più in grande
I soci del circolo Santa Croce si davano davvero da fare e piano piano conquistavano sempre più spazio per i loro locali. Passo dopo passo, un anno dopo l’altro si realizzò così l’ampliamento dei locali a scapito della Confraternita di Misericordia che ne aveva l’uso. Si arrivò anche, non senza difficoltà, ad esumare il cimitero che si trovava in corrispondenza della attuale arena con lo scopo di creare un ampio spazio dove costruire un teatro all’ aperto per fare poi delle recite anche nelle belle serate estive, combinando il divertimento dello spettacolo teatrale con la possibilità di prendere un po’ di fresco dopo la calura del solleone.
Seguiamo l’evolversi della vicenda con questi estratti dai verbali:
08/11/1936
Esumazione cimitero. Era in programma la esumazione del vecchio cimitero come da promessa fatta al Sig. Pievano che ci ha lasciato, ma per tante complicatissime ragioni non possiamo nel momento prendere una decisione di quando questo verrà fatto.
04/04/1937
Esumazione vecchio cimitero. Saranno distribuite e raccolte nel popolo delle schede appositamente preparate affinché poter realizzare il desiderio del Pievano che ci ha lasciato e portare a compimento questa tanto necessaria opera che sotto la guida del nostro assistente Ecclesiastico e la buona volontà e sacrificio di tutti dovremo portare a termine con i mezzi che ognuno può disporre di qualsiasi genere. Soldi, lavoro, mezzi di trasporto ecc…ecc…
19/02/1939
Sistemazione del piazzale dell’ex cimitero. Si ritiene possibile di sistemarlo con scarico di terra il quale incaricato per la ricerca di detto scarico è l’amico Piccini Guido. Viene approvato la costruzione di un palco all’aperto per le rappresentazioni teatrali.
E finalmente, subito prima che il dramma dell’entrata in guerra si compisse, si poterono completare i lavori dell’esumazione e della costruzione del teatrino all’aperto.
Bar
Seguì il periodo bellico. Non era quello il momento in cui poter realizzare ulteriori ampliamenti e migliorie, ma si facevano buoni propositi per quando la tragedia sarebbe finita. Perché doveva pur finire: i soldati sarebbero infine tornati a casa, le cronache non avrebbero più parlato di bombardamenti e di spostamenti truppe! Sappiamo che questi propositi di miglioramento della sede furono in buona parte realizzati: nel ’48 fu comprato un biliardo (che costò 60.000 lire) e nell’Ottobre 1949 furono inaugurati i nuovi ed ampliati locali. Successivamente la gestione del bar fu stata lasciata dall’Azione Cattolica, passando prima all’ ACLI e poi, dopo la scissione del 1970, all’ MCL (movimento cristiano lavoratori). E’ certo che questi cambiamenti per gli assidui frequentatori non fossero altro che inutili complicazioni burocratiche perché si può affermare con certezza che il loro spirito rimase sempre lo stesso. In tempi più recenti, negli anni ’70, sono stati nuovamente ristrutturati i locali; è stato acquistato un nuovo banco mescita che ha fatto assumere al Circolo l’aspetto di un vero e proprio bar. Altri lavori ci sono stati infine nel 1990 con la realizzazione di un nuovo banco bar in muratura e l’ennesimo, ma necessario, ammodernamento dei locali.
Purtroppo è di ieri la demolizione di questo banco e la nuova chiusura del “Buffeth”. Come abbiamo visto non è la prima volta che succede, speriamo solo però che non sia l’ultima e che prima o poi qualcuno si armi di buona volontà e si impegni per la riapertura dei locali, perché vedere quel portone accanto alla chiesa quasi sempre chiuso mette un certo senso di tristezza per la perdita di un punto di riferimento dove si poteva sempre trovare qualche faccia amica con cui discorrere o anche solo “tagliare camiciole”.
6 – Unione donne
Il gruppo donne si vede che era predestinato: leggendo i resoconti delle attività salta subito agli occhi 1’equilibrio che lo caratterizza; il proseguire nel tempo di tutte le iniziative intraprese. Una costanza che, se da un lato non offre 1’occasione di presentare qualche avvenimento particolare, dall’altro dimostra quanto esso fosse saldo, un sicuro sostegno per l’Associazione, e che infatti non è venuto meno.
I giovani, si sa, sono esuberanti ma anche volubili; un gruppo giovanile che non fosse pieno di alti e bassi, di tempeste e rappacificazioni, non si potrebbe veramente definire tale; gli uomini poi sono distratti da mille altre occupazioni, soprattutto in una società come la nostra, dove spesso il posto di lavoro è lontano e si passa molto del nostro tempo in viaggio. Ma le donne, le madri di famiglia e le giovani che, divenute adulte sono succedute loro, hanno costruito con tanta pazienza il fondamento dell’Associazione permettendole di sopravvivere anche nella bufera della crisi degli anni ’60. In questi anni difficili infatti solo loro hanno saputo rimanere unite, mentre tutti gli altri gruppi si dissolvevano, confidando che un domani dei momenti migliori sarebbero pur venuti.
Chi scrive, che in quegli anni era molto giovane, credeva allora che 1’A. C. fosse un gruppo composto da sole donne anziane, sempre pronte con dei pensieri gentili ad accompagnare i momenti più importanti del proprio cammino di cristiano. E questo conferma che, mentre i giovani e gli uomini sparivano o si dedicavano ad altre attività, solo queste donne avevano avuto il tranquillo coraggio di guardarsi negli occhi e dire: ‘”noi non ci arrenderemo!”. Ed ora che i tempi sono cambiati, e qualche promessa di ripresa degli altri gruppi si manifesta, non possiamo non ringraziare il gruppo donne che ha saputo tenere sempre il lumino acceso.
E’ doveroso ricordare gli impegni che negli anni hanno contraddistinto il gruppo donne. La Preghiera e gli esercizi spirituali erano il “piatto forte” dell’attività: rileggendo gli elenchi degli incontri di preghiera o di adorazione fatti per i diversi scopi con 1′ ottica di oggi si rimane stupiti; basti come esempio uno stralcio della relazione del 1943:
“Ogni primo giovedì del mese è stata tenuta mezz’ora di adorazione per il Sacerdozio, fino al mese di giugno. Il giorno 25 di ogni mese abbiamo fatto una giornata di ritiro… per il Sacerdozio sono stati tenuti tre giorni di esercizi. Di grande importanza è stata la riuscitissima festa della SS. Annunziata, giornata di preghiera per i soldati di tutto il popolo…Per la Settimana Santa e la Pasqua le donne hanno fatto preghiere speciali…nelle feste solenni del SS. Crocifisso, le donne di A.C. hanno preso parte con zelo in numero assai rilevante ali’ adunanza, alle preghiere ecc.”
Non meno impegnativo il campo caritativo, era tutto un prodigarsi per raccogliere soldi od offerte in natura per questo e quello. L’esempio lo prendiamo stavolta dalla relazione del 1948:
“Per non dilungarsi tanto enumero schematicamente i ricavati delle varie raccolte fatte dalle donne:
1) L. 900 per 1′ acquisto di rosari per gli esploratori
2) L. 1056 per 1′ Università Cattolica
3) L. 500 per la S. Vincenzo in occasione della S. Pasqua
4) L. 500 e 10 uova e 1 pane per tre famiglie povere della Parrocchia
5) L. 600 quale contributo per l’acquisto dell’ automezzo per l’A.C.
6) L. 207, 20 uova per il Seminario; pure per il Seminario a iniziativa delle donne sono stati raccolti kg. 202 di grano.”
Non dimentichiamo infine fra le altre iniziative la pulizia della Chiesa in turni organizzati che hanno provveduto e provvedono ancora al suo mantenimento in modo decoroso.
L’acquisto di tovaglie, tovaglioli, un servito di tazze e tutto l’occorrente per un rinfresco da offrire tutti gli anni ai bambini che avevano fatto la I Comunione: ora vengono portati nei ristoranti a celebrare l’avvenimento fra parenti e amici, ma per i ragazzidi qualche decina di anni fa questo rinfresco era 1’unica occasione di far festa. Infine la distribuzione per le case dei ramoscelli d’olivo per la Domenica delle Palme; iniziativa che è stata da un po’ di anni fatta propria dai ragazzi del catechismo che rinnovano così questa consuetudine di portare per le case della Parrocchia un simbolo di pace.
Gioventù femminile
Anche le giovani donne si impegnavano sul serio: le loro iniziative ricalcavano quelle delle socie più grandi, alle quali aggiungevano quel tocco di allegria e di entusiasmo: doveva essere certo bello vedere all’uscita delle Messe queste giovani che vendevano i dolciumi confezionati con le proprie mani per ricavare soldi per le opere di beneficienza; e mi piace immaginare le espressioni benevole delle più anziane e del Pievano che certo pensavano con animo consolato che il futuro era messo in buone mani. Questo si deduce dalla lettura delle solite relazioni annuali per le quali basti come esempio il seguente brano di quella del 1942-43:
“II programma di quest’anno 1942-43 ha trovato nell’ attuazione grandi difficoltà dato i momenti difficili, in cui siamo; però per la Grazia del Signore abbiamo potuto svolgere tutte le iniziative d’ apostolato indette dal Centro Nazionale e dai programmi… La prima iniziativa del 1943 è stata la Giornata Missionaria. Tutte le socie grandi e piccole hanno lavorato con entusiasmo, hanno fatto turni di preghiera e tanti piccoli sacrifici come quello dello zucchero per fare il croccante, hanno fatto ancora dei fiorellini di cera e venduti, infine la fiera e lotteria; dalla sezione aspiranti è stata raccolta la somma per 25 Battesimi di piccoli infedeli; il totale della giornata è stato L. 1050… Prima della festa del S. Natale di domenica andammo numerose a visitare il ricovero di S. Teresa a Baroncelli. La nostra visita era stata già annunziata ai vecchietti, i quali ci attendevano, e fu per noi di gran gioia poter mettere fra le loro mani il ricavato dei nostri piccoli sacrifici: frutta e dolci: le socie maggiori passarono alla visita dei vecchi malati portando loro l’ immagine della Madonna e il conforto della buona parola. La festa dell’Immacolata è stata la chiusura della Crociata della Purezza accuratamente preparata dalle socie le quali cantarono la Messa del Prof. Bartolucci ed ebbero in compenso la consolazione di vedere all’ altare quasi tutte le giovani della Parrocchia…”
Erano quindi cuoche, cantanti, si occuparono della carità, queste giovani e non si può proprio dire che non fossero impegnate, considerando anche che vanno aggiunte altre iniziative che venivano portate avanti come, soprattutto, il mantenimento di una biblioteca che contava “140 bellissimi volumi”, ed ancora raccolte di fondi per la Giornata Universitaria per mezzo di una “fiera, vendita di migliaccio, lotterie e vendita di piccoli oggetti”; e tanta preghiera con partecipazione ai ritiri spirituali mensili indetti dal Centro Diocesano. Tutto questo era il frutto di un’ accurata formazione spirituale che 1′ A.C. certo dava in misura notevole.
Viva Gesù
Carissima, ti aspettiamo la sera dell’11 agosto. Ecco quanto ti occorre: Il guanciale se ti fa comodo, l’asciugamano, i lenzuoli, il tovagliolo e le posate, il velo bianco, corona e un libro di pietà. Si viene poi con i vestiti modesti, cioè maniche lunghe, vestiti sotto al ginocchio e calze. Sarà bene che ti porti anche lo zucchero. Quelle figliuole poi, che per forza maggiore non possono dormire dove fanno il ritiro, devono entrare la mattina alle 6 ½. Il bene grande che riceverai in questi giorni compenserà ampiamente i piccoli sacrifici che dovrai fare per venire.
Sia lodato Gesù Cristo
Il Parroco
Dovrai portare la piccola quota di £. 18,00.
7 – Teatro alla Pieve (storia)
Provando e Riprovando
Le origini – La prima compagnia – P&P1
Quella di una compagnia teatrale “Provando e Riprovando” alla Pieve di S. Pietro a Ripoli è una tradizione molto più radicata e con valenza “storica” di quanto si possa solo immaginare.
La nascita della prima compagnia “filodrammatica” è avvenuta in questo modo: come sappiamo nel 1920 il Gruppo Uomini di Azione Cattolica della Parrocchia aveva fondato il “circolo cattolico” che si riuniva nei locali dell’attuale circolo MCL. Era stata anche aperta una mescita ed i locali venivano impiegati non più solo a scopo formativo, ma anche ricreativo. Nell’ anno 1933 vengono richiesti agli organi competenti (Questura) i permessi per effettuare delle rappresentazioni teatrali. La prima rappresentazione della neonata filodrammatica che già si chiamava “Provando e Riprovando”, si svolse il 5 Febbraio 1933. Non ci sono molte notizie su questa prima compagnia, quelle poche che seguono sono dedotte dai verbali e dai bilanci del circolo cattolico. Comunque possiamo dire che probabilmente le “recite” si svolgevano nel salone del circolo, e comunque al chiuso perché l’attività si svolgeva prevalentemente nel periodo invernale. Si trattava all’inizio più che altro di commedie di argomento religioso o morale, e comunque diremmo “impegnate”. Questo solo all’inizio però perché si sa per testimonianze dirette anche della rappresentazione di commedie del repertorio tipico del “vernacolo fiorentino”. Sappiamo che il primo direttore fu il signor Giorgio Matteini (fino al 1936) e che tutti gli attori dovevano rigorosamente essere iscritti all’Azione Cattolica. Altre notizie sono queste:
Stagione 1934-35
Utile netto £. 131,85.
Stagione 1935-36
Rappresentazioni i giorni 24/12/35, 26/01/36, 16/02/36 (2 rappr.), 23/02/36, 25/02/36, 12/04/36, 19/04/36, 03/05/36 (Totale 9 rappresentazioni)
Incasso £. 549,85
Commedie La beffa, I tre bravi, La morte dal mantello rosso
Stagione 1936-37
La compagnia si scinde in due gruppi: uno composto da giovani e uomini, l’altro dagli “aspiranti” (ragazzi minorenni). Il nuovo direttore della compagnia è Renzo Pacenti.
Rappresentazioni i giorni 22/11/36, 24/12/36, 27/12/36, 24/01/37, 07/02/37, 09/02/37, 28/03/37 (Totale 7 rappresentazioni)
Incasso £. 353,20
Commedie La morte dal mantello rosso, Cretinetti, I tre bravi
Stagione 1938-39
Rappresentazioni i giorni 27/11/38 (126 biglietti), 24/12/38 (118 biglietti), 22/01/39 (43 biglietti), 29/01/39 (121 biglietti), 19/02/39 (132 biglietti), 21/02/39 (85 biglietti), 19/03/39 (163 biglietti), 16/04/39 (72 biglietti) – (Totale 8 rappresentazioni)
Incasso £. 709,10 (860 biglietti)
Viene effettuata la esumazione del vecchio cimitero. Al suo posto viene fatta una sistemazione che prevede la costruzione dell’attuale teatro all’aperto.
Presumibilmente questa prima compagnia cessò la sua attività dopo la seconda guerra mondiale, quando si sciolse anche il gruppo uomini di Azione Cattolica.
La seconda compagnia – P&P2
Nel 1973 arriva alla Pieve il nuovo Parroco Don Quirino Paoletti, il quale subito si dà da fare per chiamare i giovani intorno alla chiesa, invitandoli prima di tutto ad impegnarsi nella attività catechistica, ma poi anche a fare gruppo insieme. Fra questi giovani c’era Beltrando Mugnai, un ragazzo che aveva già fatto qualche esperienza teatrale e cabarettistica nella zona. I giovani si ritrovavano nel circolo dove ora funzionava un vero bar e dove ancora operava il vecchio direttore della compagnia filodrammatica Renzo Pacenti che ricordava con nostalgia i tempi di oltre quanta anni prima nei quali alla Pieve si recitava. La congiunzione fra i due personaggi ebbe l’effetto della benzina sul fuoco, e si decise che senz’altro si sarebbe riaperta l’attività teatrale con una nuova compagnia che però, nel segno della continuità, non poteva che chiamarsi ancora “Provando e Riprovando”. Certo che la buona volontà da sola non sarebbe bastata, se non che si verificò la fortunata coincidenza che una compagnia teatrale della zona, guidata dal signor Luciano Ballerini, chiese al circolo ed ottenne di poter riattivare a proprie spese il vecchio teatro all’aperto, ormai fatiscente, per gestire una propria stagione teatrale estiva. I giovani allora chiesero al sig. Ballerini il “prestito” del teatro per poter fare una rappresentazione; avuta l’autorizzazione si misero a provare, e fu così che nel Giugno del 1974, a distanza di quasi quarant’anni, alla Pieve debuttò una nuova “Provando e Riprovando”, anche con le donne stavolta, con “l’ Agonia di Schizzo” nella quale ovviamente Beltrando faceva da mattatore, ma dove già figuravano alcune giovani promesse come Manuela Montefusco ed Andrea Zanieri.
L’attività proseguì per un decennio con altre commedie del repertorio in vernacolo quali L’Ascensione, La Trovata del Sor Orazio, Firenze Trespiano e viceversa, La zona Tranquilla, Vòle Pensione?, e L’acqua Cheta.
Le commedie non si tenevano solo alla Pieve ma anche a giro, spesso in improbabili teatri improvvisati messi su alla bell’e meglio per la circostanza. Ma si partecipò con buon successo anche a rassegne per compagnie amatoriali; indimenticabili poi le due rappresentazioni che potremmo definire “live” in occasione del Palio di Bagno a Ripoli, quella del 1982 a Candeli de L’Ascensione in una piazza vera, con una chiesa vera e case vere, e quella del 1983 a Bagno a Ripoli de L’Acqua Cheta in una vera casa colonica e con un cavallo vero in scena.
Ma poi anche questa esperienza finì; era il 1985. Il teatro tornò a riempirsi di polvere, le scene furono disperse ed iniziò una nuova stagione di buio.
E tre! – P&P3
Anno 2000: nuovo secolo, nuovo millennio. Ed alla Pieve c’è un gruppo di catechismo formato da ragazzi che devono ricevere il sacramento della Cresima. Ragazzi nati, per uno scherzo del destino, proprio in quel 1985 nel quale si era sciolta la Provando e Riprovando 2. Il catechista era stato uno degli attori della P&P2, ed aveva il problema di tutti i catechisti che accompagnano un gruppo alla Cresima: come fare per evitare la classica diaspora del dopo-cresima, nella quale tutti o quasi i neo-cresimati, appena confermati nella Fede, spariscono come foglie sospinte dal vento? Forse una soluzione era provare ad organizzare una attività che potesse essere anche divertente. E così, chiedendosi in quale attività si fosse divertito lui alla Pieve gli venne in mente: “Il Teatro!”. Provò a fare la proposta ai ragazzi che accettarono subito con inaspettato entusiasmo. E così, ecco iniziare il terzo atto di questa storia, ancora in corso. Il nome della compagnia non poteva essere che “Provando e Riprovando”, e la prima commedia, nel segno della tradizione, doveva essere “L’ Agonia di Schizzo”, nella quale la parte del protagonista era di Simone Prosperi, figlio di due componenti della P&P2 e, si può dire, frutto di una unione nata fra le tavole del teatro della Pieve. Più continuità di così!
Questo gruppo ha oramai superato i dieci anni di attività ed è ancora in azione; nel frattempo si sono avuti partenze e grandi ritorni di ex della P&P2, come Manuela Montefusco, Alessandro Cerini, Andrea Zanieri, i quali sono passati da interpretare le parti dei figli a quelle dei genitori, mentre del gruppo originario restano Irene Pasquini e Simone Prosperi.
In questi dieci anni sono state messe su molte commedie del repertorio in vernacolo fiorentino come, oltre alla citata Agonia di Schizzo, anche L’ Ascensione, La Trova di’ sor Orazio, In città l’è un’altra cosa, La bottega di Sghio, La zona tranquilla, Vigili Urbani, Purgatorio, Inferno e Paradiso, I’ figliolo di’ prete, E chi vive si dà pace, Il castigamatti, Padron son io. Una volta però è stata rappresentata anche una commedia in “Italiano” ; “Il medico e la pazza”, ed infine, poiché il repertorio classico in vernacolo cominciava a languire, si è provato anche a rielaborare celebri commedie straniere, fiorentinizzandole e dandone una interpretazione assolutamente originale (se con buoni risultati non spetta a noi dirlo): da “Le allegre comari di Windsor” nientemeno che di W. Shakespeare è stata ricavata la nostra “Da Andrea, affittacamere con vista”, e da “Spirito allegro” di Noel Coward è stata rielaborata la nostra “Spirito Viola”.
Ritorno al coperto
L’ultima novità è in realtà un ritorno all’antico: basta con le giornate di primo Giugno passate col naso in su con la speranza che Giove pluvio ci concedesse la grazia di una serata chiara, fresca e serena come tradizione vorrebbe in questo periodo, speranza in genere vana. Basta con l’apposizione sulla locandina della scritta “Causa consueto maltempo…”; ma chi l’avrebbe mai detto che la prima quindicina di Giugno fosse uno dei periodi più piovosi dell’anno? Insomma, è giunto il momento delle decisioni radicali: si torna al coperto! Si è deciso così di ricostituire il palco nel salone del circolo, più o meno delle stesse dimensioni di quello storico all’aperto, e di iniziare dalla stagione 2012-2013 a presentare un calendario di recite al coperto nel periodo invernale. Praticamente l’intera stagione 2011-2012 ha visto buona parte degli artisti trasformarsi in muratori, falegnami e fabbri, ma alla fine il nuovo palco è stato completato ed allora, giusto per non perdere la continuità, una rappresentazione con l’inaugurazione del nuovo locale è stata fatta il 20 Maggio 2012 con la commedia dell’anno precedente “Spirito Viola” e con un rinnovato spirito anche di tutta la compagnia… e il resto della storia è ancora da scrivere.
Il perché di un nome
Breve nota: da dove ha origine il nome delle compagnia? “Provando e riprovando” è originariamente un motto dantesco: lo troviamo infatti nella Divina Commedia. Successivamente fu fatto proprio dall’Accademia del Cimento. Gli accademici lo interpretavano nel senso corretto e cioè che per arrivare a delle certezze scientifiche era necessario che una qualunque affermazione o teoria o teorema dovesse prima essere “provata”, vale a dire dimostrata, ma poi anche essere “riprovata”, e cioè doveva superare tutte le obiezioni o critiche che poteva suscitare nell’ambito scientifico. La frase ha quindi nobilissime origini ed è un vanto della storia e della cultura fiorentina; anche troppo per una compagnia amatoriale di attori di una chiesa di periferia. Ma è certo che chi ha avuto la pensata di questo battesimo voleva apparentemente riferirsi alle glorie del passato fiorentino, ma che in realtà, sotto sotto, con la tipica arguzia toscana, volesse fare riferimento alla tante prove che si dovevano fare prima di arrivare ad una rappresentazione (i gobbi elettronici erano di là da venire, e la parte bisognare impararla bene, anche se c’era il “rammentatore”).
E io credo di riconoscere in questa bonaria ironia il carattere fiorentino schietto di Renzo Pacenti, uomo semplice e di pochi studi regolari, ma pieno della voglia di imparare sempre cose nuove della storia e delle tradizioni fiorentine, ed accanito lettore, degno in questo della stima degli Accademici del Cimento.
8 – Corale – storia
Il canto è uno dei modi di pregare. Anzi, “chi canta prega due volte” non solo per le parole dei canti, che spesso sono preghiere, ma anche perché la musica, certa musica, è armonia; la musica, certa musica, è pace e questo aiuta ad avvicinarsi a Colui che è armonia e pace.
Se questo è vero, allora non si poteva alla Pieve rinunciare a metter su un coro, il più possibile serio, con tanto di prove e direttore.
Le prime notizie di un coro di questo genere risalgono al 12 Ottobre 1931, quando ne viene stabilita la istituzione presso il circolo, sotto la guida dell’allora pievano Don Leone Crocetti.
La prima prova si svolse la sera di Sabato 21 Novembre.
Si dovette trattare però di una falsa partenza se nel 1933 si deve effettuare una “ricostituzione”.
A parte questo però non abbiamo notizie particolari riguardo a questa attività, il che fa pensare che sia proseguita senza sussulti almeno fino al 1938.
Le prove si tenevano il sabato sera (evidentemente al posto di quella che oggi è la pizzeria o la discoteca) non al posto dello svago, ma pensando che quello fosse lo svago. Alla direzione c’era Don Crocetti fino al 1933 quando subentrò Guido Piccini, mentre il parroco continuava ad occuparsi della formazione dei nuovi giovani elementi.
Anche di questa attività si perdono le tracce con il periodo bellico, ed è ancora una volta dovuto a Don Quirino Paoletti il merito di averla fatta risorgere dopo il suo arrivo alla Pieve nel 1973, più o meno con le stesse modalità (a parte le prove di Sabato: i tempi sono cambiati). Il gruppo è costituito da un buon numero di parrocchiani volenterosi ma non privi di orecchio. In un primo tempo ci pensa lui a fare da direttore, ma poi decide di passare la mano a Don Moncini: un parroco delle vicinanze dotato di una carica umana e di una serenità d’animo che sono rimaste nella mente di tanti. Alla corale viene assegnato il nome di “Santa Cecilia”, protettrice dei cantanti e della musica. Le prove che vengono svolte comunque non sono fini a se stesse: la corale anima le Messe più solenni in occasioni delle feste e degli avvenimenti più importanti dell’anno, e qualche volta si reca anche in trasferta a svolgere la stessa funzione, sull’onda si una notorietà acquisita, certo solo a livello locale, ma non immeritata.
Quando poi Don Moncini deve lasciare la mano, il ruolo di direttore passa ad un musicista di professione, Stefano Tarchi, che continua con umiltà e ovviamente competenza l’opera dei suoi predecessori. Quando però anche lui deve passare la mano alla fine degli anni ’80, l’incarico passa ad altri maestri che, se incrementano la qualità tecnica con l’introduzione di nuovi elementi provenienti da fuori parrocchia, progressivamente trasformano il gruppo in un coro di stampo professionale. I volenterosi parrocchiani che fino ad allora avevano fedelmente frequentato le prove, sentendosi oramai inadeguati, cominciano a lasciare. La corale, ormai snaturata, cambia anche nome fino a diventare un corpo estraneo alla parrocchia e che ne utilizza i locali praticamente solo come ospite. Fino a che, con la venuta del nuovo parroco don Filippo Lupi, si trasferisce altrove ed abbandona del tutto ogni legame con la Pieve.
Riguardo al canto però non possiamo dimenticare che, sempre per merito di Don Quirino, per l’animazione della Messa particolarmente dedicata ai bambini del catechismo, si registra una grossa novità. I primi anni ’70, con i quali coincide appunto la venuta di Don Quirino, sono quelli del post-concilio, ma anche quelli del post sessantotto, della rivoluzione giovanile e della “fantasia al potere”; anche in Chiesa si diffonde una ventata di novità e si cominciano a vedere chitarre al posto degli organi ed a sentire ritmi sincopati al posto delle solenni armonie; si eseguono canti nuovi, più simili a pezzi di musica leggera che agli antichi inni sacri. Ed è così che anche la Pieve si adegua e si vede comparire un gruppo di ragazzi armati di chitarre che, sotto la guida inizialmente di Maria Regina Sinceri, strimpella a più non posso sotto i severi archi della nostra millenaria Pieve. Ed il filo di quel gruppo, che tante volte ha minacciato di sfilacciarsi, bene o male continua ancora a resistere, fra alti e bassi, a distanza oramai di 40 anni.
Cecilia, nata da una nobile famiglia a Roma, sposò il nobile Valeriano. Si narra che il giorno delle nozze nella casa di Cecilia risuonassero organi e lieti canti ai quali la vergine, accompagnandosi, cantava nel suo cuore: “conserva o Signore immacolati il mio cuore e il mio corpo, affinché non resti confusa”.
Da questo particolare è stato tratto il vanto di protettrice dei musicanti. Confidato allo sposo il suo voto, egli si convertì al Cristianesimo e nella prima notte di nozze ricevette il Battesimo per mano del Pontefice Urbano I.
Tornato nella propria casa, Valeriano vide Cecilia prostrata nella preghiera con l’Angelo che da sempre vegliava su di lei e, ormai credente convinto, pregò che anche il fratello Tiburzio ricevesse la stessa grazia e così fu.
Il giudice Almachio aveva proibito, tra le altre cose, di seppellire i cadaveri dei Cristiani, ma i due fratelli convertiti alla fede si dedicavano alla sepoltura di tutti i poveri corpi che incontravano lungo la loro strada. Vennero così arrestati e dopo aver redento l’ufficiale Massimo che aveva il compito di condurli in carcere, sopportarono atroci torture piuttosto che rinnegare Dio e vennero poi decapitati. Cecilia pregò sulla tomba del marito, del cognato e di Massimo (tutti e tre Santi venerati il 14 Aprile), anch’egli ucciso perché divenuto Cristiano, ma poco dopo venne chiamata davanti al giudice Almachio che ne ordinò la morte per soffocamento nel bagno di casa sua, ma si narra che “la Santa invece di morire cantava lodi al Signore”.
Convertita la pena per asfissia in morte per decapitazione, il carnefice vibrò i tre colpi legali (era il “contratto” dei boia per ogni uccisione) e, non ancora sopraggiunta la morte, la lasciò nel suo sangue. Fu Papa Urbano I, sua guida spirituale, a renderle la degna sepoltura nelle catacombe di San Callisto.
9 – Conclusione
Finisce qui, o meglio si interrompe qui questo fascicolo sulla vita della A.C. alla Pieve.
Non è una storia; non è nemmeno una raccolta sistematica; sono solo fotogrammi di un grande film, come pennellate di un pittore astratto che non vogliono descrivere minuziosamente, ma solo rendere l’idea.
Spero solo che non sia venuto fuori uno di quei quadri di cui non si sa quale è il sopra e quale il sotto, e mi auguro che chi quei tempi li ha vissuti possa riempire con i ricordi personali i vuoti lasciati, mentre per chi non è era, vuol dire che è giovane e che una nuova storia, attuale, tocca a lui scriverla ogni giorno.